– Ciao! – gli avevo appena detto, non
più di due ore e mezzo fa, uscendo dalla sua auto, ed ora rieccomi qua, di
nuovo a salutarlo, davanti alla soglia di casa, mentre entra col suo zaino
ingombrante, ancora sulle spalle. Ormai da tre giorni usufruivo del servizio
navetta di mia madre, gentilmente offerto lungo il tragitto casa-scuola, e io
per “sdebitarmi” – parole dei miei – dovevo aiutarlo. ogni tanto. a fare compiti
o a studiare; anche se, per quel poco che lo conoscevo, non era certo lui ad
averne bisogno, del mio aiuto.
– Dai, entra alla svelta! ché oggi, tra i
compiti e la verifica, non ho neanche
il tempo di guardarmi alle spalle. – Luca non rispose: col suo fare
sicuro di sempre, mi guardò con una faccia che sembrava dare poco credito alle
mie parole, quasi sapesse di aver lui il comando, e sistemò diligentemente i
suoi libri di scuola sul tavolo, assieme ai quaderni.
Non avevo
mai fatto un incontro di studio pomeridiano a casa mia: per me era una cosa
nuova, specie se avere uno più piccolo a cui addirittura avrei dovuto fare da
precettore.. Ogni tanto lo guardavo assorto nei suoi compiti: sembrava irreale
vederlo così distaccato, intento a studiare, quando la maggior parte del tempo
trascorso in casa mia, finora, era stata spesa in ben altra maniera (e molto
più divertente!); soprattutto mi stupiva non aver ravvisato in lui il minimo
tentativo di cominciare qualche altra attività.
Dopo non so quanto
tempo di religioso silenzio, dove tutto sembrava funzionare fin troppo alla perfezione,
Luca chiuse rumorosamente i libri di scuola, quasi a rimarcare la definitiva conclusione
di tutti i suoi impegni scolastici: – Bene!
Ho finito: che si fa? – mi disse, guardandomi deciso.
– Si fa un bel niente, Luca. Non so te, ma io
ho ancora un casino di roba da fare: domani ho una verifica, se te lo sei
dimenticato…
Non disse
nulla, non aggiunse niente; nessuna reazione apparente: non sembrava nemmeno
lui; l'unica cosa che non aveva perso era la sua solita sicurezza. Dopo di un
po', avvicinò la sedia a me e fece finta di guardare sui miei libri, e mentre col
suo sguardo scorreva geroglifiche formule di trigonometria, la sua mano finì tra
le mie gambe, rovistandovi per bene. Non ne potevo più di quelle stupide
formule: che tentazione cedere al suo invito, ma quelle pagine maledette non si
sarebbero di certo lette da sole. A malincuore presi la sua manina, così dolce,
e la levai: – T'ho detto che devo studiare…
adesso non ho tempo… – cercai di essere duro, ma con lui mi era
impossibile – Dopo… forse… –
aggiunsi.
– Dopo quanto?
– Ancora tanto! Dai… lasciami finire –
ero disperato: da una parte quei noiosi seni e coseni e dall'altra l'appagante
insistenza di quel diavoletto biondo; che fare?
– Possibile che io abbia già finito e tu… –
iniziò con tono polemico; ma l'interruppi: – Forse perché tu fai la prima e io la terza?... Forse perché il mio anno
è un tantino più impegnativo del tuo? No, eh!
Ci rimase
male, ma tornò subito alla carica: – Beh,
però… – disse, riallungando la mano.
– Ti ho detto: no! – scocciato, incrociò
le braccia e mi chiese dell'acqua. Lo accontentai e poi gli accesi la tv per
levarmi di torno quell'attraente fonte di distrazioni; ma non passò molto che
Luca si rifece vivo alle mie spalle, guardando nuovamente sui miei libri. Una
mano leggera si posò sulla schiena, dandomi la dolce sensazione d’un contatto
umano: forse anche lui cercava solo quello in fondo, in quel lungo pomeriggio;
ma non potevo concedergli nient’altro in più, o sapevo che avrei abbandonando
quei tediosi libri per il resto della giornata. Fissai il vuoto, finché si
trattava di una semplice mano potevo anche resistere, ma immerso nella mia
stessa inerzia gli occhi non focalizzavano altro che un indistinto punto nello
spazio e né un solo muscolo del mio corpo mi rispondeva, il tempo si era come
fermato per me, mentre la pressione sulla mia spalla dolcemente cresceva; il
respiro di Luca si fece più profondo e vicino, fino a toccarmi la testa con la
sua; quasi di riflesso alzai la mano per toccare il morbido dei suoi capelli.
Poi Luca si mosse, sedendosi dietro di me, e l'incantesimo del suo tocco s’interruppe.
Mi abbracciò.
– Dai Luca… per piacere!
– Ma non sto facendo niente! Sto qui buono:
non va bene neppure questo… – disse mostrandomi le sue manine aperte, poi stringendosi
attorno alla mia vita.
– Dai, stai pure lì! Però sai cosa non devi
fare!...
– Sì, sì, non ti preoccupare. Però, dopo,
andiamo in camera tua? – mi abbracciò più forte.
– Perché in camera mia?
– Dai… come l'altra volta! – disse con
la voce timida e sorniona.
– No, non abbiamo tempo: dopo arriva mia madre. Però qualcosa lo
troviamo… E non starmi così addosso!
C'è l'avevo
duro, mi intrigava troppo studiare con lui abbracciato; mi faceva sentire
desiderato, atteso: però, che fatica! Se solo la sua manina fosse scesa un po',
e avesse incominciato a muoversi su e giù… che bello che sarebbe stato! Brrr…
mi dovevo riprendere, non dovevo pensare a certe cose! Mi dovevo concentrare,
perché una volta finite quelle stramaledette pagine, avrei sistemato io quel biondino.
Luca nel frattempo si era perfettamente accomodato: oltre a cingermi, si era
pure adagiato con la testa sulle mie spalle; avevo quasi l'impressione che si
fosse addirittura addormentato.
Quelle
ultime dieci righe le posso anche saltare! Chiusi il libro e mi stirai,
pigiando Luca contro lo schienale della scranna.
– Ahi! – mi gridò con voce acuta e
sonnolente.
– Oh, scusa, ci sei tu! me n’ero scordato! Sai,
non ci sono abituato…
– Sì, però adesso levati!
– Aspetta un attimo – dissi, buttando indietro
le braccia in cerca di una “parte” di lui. Ma che sfiga: aveva i jeans! Ne
percepivo l'ingombro, ma non potevo apprezzarlo. A dire il vero, non avevo
proprio voglia di venire quel giorno… mi sfagiolava di più qualcosa di rilassante.
Colpa sua! colpa del suo rilassatissimo dormire sulle mie spalle; dopo tutto
non ero mica vincolato da alcun contratto al suo volere, né ero nemmeno pagato
per i miei servigi, anzi era lui in casa mia… e stava a lui adeguarsi ai miei
desideri.
– Su, andiamo sul divano! – gli dissi,
traghettandolo per mano a distendersi tra le mie braccia. Voleva fare come la
volta scorsa in camera mia? Bene, allora avremmo fatto una bella pennichella
accoccolati l’uno all’altro; doveva andare bene pure a lui, perché non si lamentava.
Mi piaceva l'odore dei suoi capelli, così morbidi tra le dita: come avere il
mio gatto. – Ma cosa usi? sei morbido
come il mio gatto!
– Hai un gatto? – mi rispose inspiegabilmente incuriosito, guardandosi
intorno come se s’aspettasse di vedere sbucar fuori un’ombra felina da chissà
quale penombra.
– Sì.
– E dov'è? non l'ho mai visto!
– Ah, lui gira: è un vagabondo! La prossima
volta, se riesco, lo costringo in casa: così lo vedi. – Mi piaceva
l'idea di accontentarlo, mi sarebbe piaciuto ogni tanto fargli dei regalini, ma
la cosa mi sembrava un po’ troppo sfacciata, così mi dovevo limitare ad
accontentare i suoi piccoli desideri, quando li manifestava; e ricominciai ad
accarezzarlo sulla nuca con immenso piacere. Era rilassante ed eccitante allo
stesso tempo, ogni tanto strusciavo la mia erezione contro di lui, quando a un
certo punto lo notai trafficare giù da basso, nei pressi della patta: – Ma che stai facendo? – dissi
abbastanza scocciato per il mio mancato coinvolgimento.
– Visto che tu non fai… faccio da me! O non
posso neppure questo?
– No, no, fai pure! – iniziò a
masturbarsi.
Il primino
si stava masturbando e ci stava dando pure dentro: si stava proprio facendo una
marletta, e se non fossi intervenuto, credo, mi sarebbe addirittura venuto sul
tappeto; questo poi no! E poi non si può dar una festa senza invitare il
padrone di casa – non è corretto! –, né tanto meno tirar fuori l'uccello in
casa d’altri senza farselo trastullare.
– Allora! La smetti di smarlettarti che mi vieni
sul divano! – ma lui continuava imperterrito, quindi l'afferrai. Appena
si accorse della mia mano, tolse la sua – …ora ti masturbo io! –; rise.
– Che hai?
– Mi fa ridere come l’hai detto!
– Cioè?
– "Ora ti MASTURBO io", ma che razza di
verbi usi?
– Uso i verbi che mi pare! – gli strinsi l’uccello
– e adesso taci! –, e tacque. Preferivo decisamente com'era adesso: «vedere
ma non toccare» è una cosa che non m'è mai piaciuta! e poi toccare la bega di
Luca era particolarmente bello, e così non rischiavo che mi giocasse brutti
scherzi, avevo io in mano le redini della situazione… e che situazione!
– Ahi! – urlò.
– Che c'hai adesso?!
– La cerniera, mi frega.
– Eeeh, ma
che lagna! – e, mentre lo masturbavo, spinse più in basso i jeans e le mutande.
Era già passato un po' da quando m’ero messo a pistolare col suo gingillo, e anche
se non andavo a buon fine, la cosa non sembrava dispiacergli, anzi si assopì pure,
mentre ancora lo smanettavo. Però, perché darsi tanto da fare per uno che dorme?
Meglio esplorarlo un pochettino. Scesi lungo l’asta, fino a giungere alla salda
base, e quindi l’afferrai forte: mi dava una certa soddisfazione stringerglielo
lì in basso, perché pareva così massiccio, così vigoroso! Poi, ora che erano
finalmente libere, potevo godermi anche le sue palle: mi dimenticavo sempre di
loro, eppure erano così belle piene e morbide da tenere in mano, che era uno
spasso riempirsene in palmo.
Tra tastate,
tastatine il tempo passava e Luca sonnecchiava alla grande, non so perché tenessi
ancora il televisore acceso, non lo guardavo nemmeno, concentrato com’ero su
quell'esserino che mi dormiva a fianco.
Era arrivata
mia madre, uffa! Me lo sarei goduto volentieri un'altra mezz'oretta, e pure
lui… dal gran che se la dormiva: – Luca
svegliati, è arrivata mia madre. Sistemati!
Luca si
svegliò improvvisamente, risistemandosi nascosto dallo schienale del divano: – Ma perché non m’hai svegliato prima! Almeno
sarei andato via prima che arrivasse tua mamma! – disse a bassa voce.
– No, perché mi serve che ti veda: deve vedere
che sei venuto qui a fare i compiti, se no poi mi rompono: se vengo con te in
macchina senza… dare in cambio niente, diciamo. Capiscimi, sono cose da
genitori… – e sorrise, speravo solo nel suo essere bravo attore con mia
madre.
Strategicamente
mi rimisi al tavolo e quando mia madre entrò, iniziai a chiudere i libri
facendo finta d’avere appena finito di studiare. – Ciao Alle. Ah! ciao anche a te Luca. Come stai? – mentre lei gli
attaccava la sua solita pezza, io portai i libri in camera.
Avevo tenuto
per così tanto la bega di Luca in mano, che ancora ne sentivo l’impronta teporosa
nel palpo; avrei volentieri sopperito alla mancanza della sua materia prima con
la mia, ma non c'era tempo neanche per una seghina: li avevo già lasciati soli
per cinque minuti quei due, li avevo già lasciati soli per troppo… Era quasi
seccante come quel primino risultasse simpatico a tutti: ai miei compagni, ai
professori, ai miei… Basta! meglio rientrare in scena, prima che a mia madre
venisse voglia di barattare suo figlio col piccolo ospite. Scesi le scale, Luca
mi aspettava vicino la porta posteriore col casco tra le mani… però, aveva
finalmente imparato quand'era ora di smammare: bravo ragazzo! Anche se oggi mi
dispiaceva lasciarlo andare così presto. Lo accompagnai in garage, vederlo
accendere lo scooter mi tuffò il cuore nella tristezza, ma perché mia madre non
lo aveva invitato a rimanere a cena? Non mi sarebbe affatto dispiaciuto tenerlo
un altro po' in casa, e magari farmi fare una bella seghetta. Quando uno le
faceva un favore, non finiva mai di sentirsi in debito, e ora che ero io a
ricevere un favore, le bastava che lo aiutassi soltanto a fare i compiti: la
vita è ingiusta!
Andai in un
cantuccio oscuro del garage: – Luca,
vieni… – Mi guardò incuriosito e s’avvicinò; ce l'avevo duro.
– Che
c'è?
Gli presi la
mano: – Senti, se una prossima volta
restassi qua a cena...? – gli chiesi infilandomi la sua mano nelle
mutande.
– Sì,
dai..., una prossima volta si può fare. Chiedimelo prima però, devo avvertire
mia mamma!
Luca iniziò
a ravanare avvicinandosi ancora. Perdeva tempo, tergiversava con domande oziose
di cui conoscevamo già l’inutile risposta, mentre la sua dolce manina si
muoveva. Ma perché doveva andare? Non potevamo adottarlo? tenercelo in casa per
me come piccolo un cucciolo… La porta cigolò; Luca ritirò subito la mano
guardandosi alle spalle, ma non c'era nessuno: non era mia madre, quella porta maledetta
si era mossa da sola, ma intanto aveva rotto l’incantesimo. Lo abbracciai per
un ultimo addio, e tristemente ci salutammo.
Mentre
usciva dal cancello, sentivo ancora la sua manina calda che idealmente non mi
aveva mai lasciato; domani l'avrei rivisto a scuola, ma intanto non avrei
resistito così tante ore senza di lui: mi sarei sfogato in bagno con un’altra
bella sega.
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