27 giugno 2019

Da discente a docente

– Alle, – cominciò, col suo solito piglio da grillo petulante, la domanda: – ma le ragazze si masturbano? – chissà donde nasceva in lui quell’astrusa domanda sull’assurdo mondo femminile?
– Sì… – cioè, perché non dovrebbero?
– E come… fanno così? – cominciò a strofinarsi col dito sul suo florido pacco. Ecco, dove voleva arrivare…
– No, dentro…

– Così… – mimò ancora su quel poggio ubertoso, che lentamente degradava verso le sue gambette sottili.
– No, proprio dentro: dovresti andare dentro col dito.
– Dentro… – si fermò come se avesse deglutito qualcosa di disgustoso. – …che schifo! – esclamò, netto e reciso.
– Ma come che schifo! E allora come fai quando ce lo metti dentro?
– Sì, ma è diverso! Col coso non è senti tutto come col dito… – col tono che andava verso l’acuto, si giustificò come un bambino sconvolto.
Sì, forse lo capivo: un dito nella fica… un dito dentro a un organo! Non ci avevo mai pensato, ma proprio ora che col suo sguardo disgustato mi stava trasmettendo quel senso di viscido e viscere proprio in cima al dito, come se lo stessi ficcando loro dentro, ora lo capivo… io, che col dito non riuscivo neanche a sfiorare un insetto proprio per quel senso di fragile e molliccio che il loro esoscheletro mi dava, o che della carne non m’impediva di mangiare tutto ciò che fosse tendine, grasso, nerbo o tegumento, tranne muscolo, pena il rigurgito.

Mentre ci riflettevo, senza che me ne accorgessi, Luca si rimise a studiare: stranamente, repentinamente, così com’aveva esordito con quell’inaspettato exploit. Ora, però, non riuscivo più a smettere di pensarci: ora che avevo adocchiato il suo splendido pacco, era come se una forza misteriosa mi tirasse lo sguardo verso quella parte di lui.
– Ma è vero che si può spezzare? – riprese, dopo un po’, per la mia disperazione. – Mi han detto che si può… – aggiunse, quando lo guardai.
– Credo di sì! – mi sistemai – Se una ti vien giù in malo modo, tipo con lo smorzacandela… ma anche con le mani… – feci segno.
– Eeeh! – esclamò incredulo. – Ma com’è fa?
– Beh, come tutte le cose rigide, si spezza.
– Sì… ma come fa? cioè, non è mica un osso… c’è un muscolo! Al massimo si stira… – concluse come un pìcciol uomo sicuro, del suo insicuro sapere…
– Ehm, no! Guarda, tutto… ma un muscolo, no! – su quell’eresia proprio non si poteva tacere.
– Ah, no?… – mi disse con fare saputello.
– No.
– E allora cos’è? – mi sfidò.
– Eeeh… – così su due piedi mi era difficile dirglielo. – Ti mostro perché non è!
Mi guardò con faccia tosta, come a volermi dire: “vediamo che cosa t’inventi!”.
Gli presi il braccino e gli dissi, mettendoglielo sul tavolo e afferrandogli il bicipite: – Fai il muscolo!
– Ma vai a girare! – mi strappò il braccio di mano, facendomi al contempo segno d’andare a quel paese.
– Ma non ti sto prendendo in giro! – glielo ripresi. – Fa’ il muscolo! Dai!
– Toh! – allora mi fece, mostrandomi tutta la gagliardezza del suo giovane muscoletto.
– E non noti niente…?
– Cosa?! – mi strillò con cattiveria.
– Che il muscolo lavora accorciandosi…
– E allora?
– E allora… che se fosse un muscolo ti si accorcerebbe invece allungarsi.
– Vero… – disse, rimanendo con lo sguardo strabiliato. – Ma allora come fa?
– Sangue!
– Ma va’… – mi stava rimandando a quel paese.
– Giuro! È la pressione sanguinea che aumenta.
– Veh, che l’ho studiato il corpo umano! – disse – …e se fosse come dici tu, allora, quando corro, che il cuore mi batte più forte, mi diventerebbe sempre duro.
– Va be’, Luca, non è proprio così semplice…
Luca mi guardò con compatimento, come mi stessi arrampicando sugli specchi, tirando in ballo chissà quali astruserie.
– Vieni, che ti faccio vedere! – lo presi per il braccino e lo accompagnai a sedersi sul divano, mentre io mi diressi alla libreria. Là, sull’ultimo ripiano, dove solo con la sedia ci si poteva arrivare, tra le copertine sbiadite dei vecchi libri dell’enciclopedia medica, stava la fonte di tutto il mio sapere: e là ritrovai il vecchio tomo – forse, perfino, più vecchio di me – carminio scuro, da “dab” a “gut”, che saltuariamente veniva consultato da me, unico fruitore; e segno evidente ne erano quelle pagine ingiallite e ondulate, rispetto al resto della risma, sotto la voce “Genitale maschile, apparato”. Quante volte l’avevo consultato negli ultimi anni, per fugare le mie ansie giovanili e le mie ubbìe puberali, cercandovi sopra le lunghezze giuste per ogni età e incazzandomi ogni volte perché non le trovavo ben esposte in una bella tabellina, prima di capire che dagli altri sotto quel versante non avevo nulla da temere? E ogni volta lo riponevo sempre a posto: ben accosto, mai discosto, neanche di poco, dagli altri libri, per paura che mia madre spolverando lo notasse. Eppure quante volte ho palpitato, quando ne prendevano uno vicino, o magari proprio quello, temendo che mi scoprissero, attirati da quell’insolita sfaldatura nelle pagine o dal loro naturale sfogliarsi al punto dell’ultima consultazione, come son solite fare nei vecchi libri troppo a lungo chiusi e sempre aperti alla solita pagina.
Appena mi sedetti, Luca mi guardò strano, con quel mezzo mattone sopra le ginocchia. Dalla sua faccia sembrava non credere tanto ch’io potessi avere dimestichezza con un tomo del genere, alto un mezzo dizionario: d'altronde non è consueto per un adolescente aver dimestichezza con certe letture.
Indugiai col volume chiuso sulle ginocchia, finché la faccia di Luca si fece come un trepidante “allora?”, così lo aprii. Mentre lui ci buttò un occhio sopra, glie n’occultai la vista non appena giunsi al consueto spaccato anatomico col genitale maschile.
– Perché?! – mi fece come un bimbetto indispettito.
– Ehm… – dissi – ci vorrebbe sotto un… “modello concreto”: così capisci meglio quel che dico!
– Eh, allora…
– E allora dai! – gli feci intendere di spogliarsi.
– Ma fallo tu!
– Io! … io ti devo spiegare… sei tu che lo devi fare!
– Uff! – disse sbuffando, come se gli costasse chissacché; ma si alzò. Con enfasi esasperata si portò le mani alla cintura, la sfibbiò, e con rude sensualità si calò le braghe.
Che bello vederlo spogliarsi solo per me! Ma aveva ancora la maglietta che gli copriva le mutande, nascondendomi forse la maggior parte della sua miglior dote, di cui vedevo soltanto la rotondità inferiori… ben trattenute dentro le mutandine da ragazzino, rigatino fantasia, che poi si abbassò, lasciandomi intravedere per un attimo i suoi testicoli, mentre si sedeva. Ero così eccitato che gli sbattei freneticamente la mano vicino al suo sederino, andandogli vicino: – Sei fortunato! sai? – dissi: – Se fosse di pelle, a quest’ora avresti freddo al sederino… – con voce da scemo. Ma Luca mi fulminò, guardandomi come si guarda un cretino, prima che finissi magari per dargli un bacino. Non so come mi fosse uscita quella sortita: non riuscii a trattenerla, era come se mi fosse servita da sfogo per non saltargli addosso in quel momento.
Mi raccomodai a terra, poggiandogli il libro vicino. Come in un moto di pudore, si era tirato giù la maglietta verdognola, ma ancora gli si vedevano le palline di là giù in fondo, allo scuro, in mezzo alle sue gambe, ma soprattutto si notava la sua erezione, sotto la maglietta, che emergeva da quel dragone stilizzato, stile tribale, d’un verdognolo più scuro.
Scivolai con la mano tra le sue cosce. – Qui ci sono i testicoli! – iniziai, indicandoli pleonasticamente sull’immagine. – Questi cosi color fagiolo sono le gonadi, e stanno dentro allo scroto… – lessi: – si ritira e si rilassa per tenerli alla giusta temperatura per la spermatogenesi… tu sai che cos’è la spermatogenesi?
– No.
– È la produzione degli spermatozoi… si formano come dei piccoli girini nei... “tubuli seminiferi”, a 35 gradi… e sai quanti sono?
– Che cosa?
– Gli spermatozoi… ogni volta che sborri! – No, fece con la testolina.
Cercai quel numero, sapevo ch’era esorbitante, ricordi di biologia, e che l’avrei stupito, dicendoglielo, ma non lo trovavo. Quella cifra si nascondeva tra le righe: centinaia di migliaia di minuscole parole, di caratteri sottili, neretti, corsivi, numeri e lettere e segni… ma non quello, finché: – Ecco! 90 milioni! Pensa… – gli palpai le palle – e tutti qui dentro!
– E come ci stanno… – disse quasi divertito.
– Beh, sono piccolissimi.
– Sì, ma sono tantissimi. E anche poi tutta la sborra…
– Ma quella non sta lì dentro.
– No? – disse stupito.
– No, sta da un’altra parte. Ci stanno solo gli spermatozoi.
– Ma allora quando si dice “ne ho le palle piene”…
– Va beh, ma è un modo di dire… Comunque, qua c’è scritto – ripresi: – che sono di quattro centimetri e che crescono fino ai tredici anni… quindi le tue… – infilai anche la seconda mano tra le sue cosce a tastargli i marroni. Uno per mano, in punta di dita, a palparli le gonadi, proprio come fece ame la dottoressa alla visita delle medie. Ma Luca sembrava non gradire il mio interessamento genitale, e saltellò: – Allora la smetti! – mi rimproverò.
– Ma ti sto soltanto…
– Mi dai fastidio!!!
– Ma controllavo se ti eri sviluppato…
– Ma fatti i cazzi tuoi! – ribatté scontroso.
– Va bene. Passiamo oltre, allora … – alzai la maglietta, portando in primo piano la sua ottava meraviglia.
– Questo è il pene! – dissi, prendendo quel bel pezzo di bega! – Vedi che è fatto da due parti: qua il glande, e questo il tronco! Questo, – strinsi – che tu ci creda o no, è fatto di 3 corpi… Leggi!... che si riempiono di sangue e ti fanno diventare duro il cazzo! – glielo stavo praticamente strapazzando. – Uno è il “corpo spongioso” …che si trova qua! – gli passai con la nocca svelto sulla cresta ventrale– …e qua i due “corpi cavernosi”! – glielo abbassai, passandogli con due dita per tutta la lunghezza dorsale dell’asta e vedendolo eccitarsi man mano che giungevo alla fine.
– …e la cappella? – mi chiese, con una certa eccitazione nella voce.
– …e la cappella è, invece, la parte che ti fa godere, – iniziai a contrargliela ritmicamente – per questo che si deve scoprire…
– E se non ci riesce?
– Si taglia.
– Come gli ebrei! – esclamò un bambino che dice la prima cosa che gli passava per la testa.
– Beh, per loro è un rito, e non sono mica gli unici… lo fanno anche i musulmani… e lo facevano prima di loro, altri: gli Egizi, per esempio, lo facevano a dodici anni. Ho sentito in tv!
– A dodici anni?… che vergogna!
– Eh, pensa! – gli tirai la pelle: – se tu fossi nato circa 3000 anni fa, due anni orsono, un grosso omone ti tirava il pisellino e zac… con una grossa lamaccia!
– Pisellino… Pisellone, vorrai dire! – l’adoravo quando faceva lo smargiasso così: a quattordici anni, con quella gran bega, poteva permetterselo!
Con delicatezza, feci uscire la punta, con l’acre fragranza che subito mi invase le narici. – Qua sotto c’è il filetto invece … lo sapevi ce n’è uno anche in bocca.
– Dove?
– Qua! – alzai il labbro superiore per farglielo vedere – …e dicono che sia il punto più sensibile.
– Davvero?
– Sì! – andai a solleticarglielo con la punta della lingua: – Sentito?
– Hmm, un po’… – fece non tanto convintamente.
– Forse serve più… – e su quelle parole la sua cappella scivolò dentro la mia bocca (o forse era la mia bocca che scivolarvi sopra?). Dopo averlo ciurlato per così tanto, era tempo di passare alla pratica e di vedere se il mio bravo scolaro aveva imparato la lezione e il voto che gli avrei dato… e lui a me! Pensavo a tutto quel sangue che scorreva tra le mie fauci, per un po’ mi misi ad addentarglielo per sentirne la consistenza: ma come poteva del sangue creare una cosa così meravigliosa? C’era qualcosa di più bello al mondo, che la natura potesse aver creare, capace di reggere il confronto? qualcosa di più divino? E che cosa…? Una vulva… Non sapevo ci fosse qualcosa in grado di farmi provare più forti emozioni, ma certamente lui meritava il mio dieci e lode... a lui come studente, alla sua poderosa erezione, alla sua copiosa eruzione.
Buttai giù flutti di sperma amari, immaginandomi tutto quel brulicare di spermini che mi girava per la bocca, la gola, l’esofago, e poi tutta quella parte di suo diennea che diventava parte di me. Sazio di lui, gli tirai su i suoi pantaloni fino alle ginocchia, e poi col suo aiuto fino a rimettergli tutto a posto, soprattutto il suo preziosissimo tesoro, ben premurosamente tutto dentro le mutande. Abbracciai Luca, tirandolo a me. Era così coccoloso adesso, che me lo sarei caricato sulle spalle per portarmele a cavalluccio per tutta la casa e sentirmi addosso tutto il suo dolce peso; però era altro che m’interessa in quel momento: portai la sua dolce manina dalle mie parti, quando Luca mi disse: – Sono stanco… –, poggiandomi la testa sulla spalla per moina.
– Riposati, allora! – gli tolsi le scarpe. Mi sentivo estremamente servizievole oggi: mi piacque perfino tirargli su le caviglie per permettergli di distendersi sul divano, come se lui dipendesse in tutto e per tutto da me. Lo accarezzai finché non chiuse gli occhi, così mi alzai.
– Non resti qui? – sussurrò.
– No, vado a studiare, poi torno… – e lo accarezzai nuovamente. Avevo ancora il sapore sulla bocca quando tornai da quei maledetti libri.
***

Mia madre rientrò, come al solito abbracciandomi quando, tornando, mi trovava seduto suoi libri di scuola a studiare come uno studente modello. Era quella l’unica manifestazione d’affetto che ancora le permettevo senza brontolare: forse per l’abitudine, forse perché pur a sedici anni è bello ogni tanto sentirsi far qualche coccola, o forse perché era l’unico momento in cui eravamo da soli noi due in casa e mio padre poteva vederci, non che con lui ci sarebbero stati problemi – anzi, fosse per lui sarei ancora il suo “bambino” –, ma davanti a lui c’era qualcosa che mi impediva.
– Allora? – solita domanda di rito. – Ma Luca... dov’è quel birichino? Ho visto che c’è fuori ancora il motorino – Già… preso dallo studio mi ero completamente dimenticato di lui: del bell’addormentato!
– È là che dorme… Si sentiva stanco. Gli ho detto di rimanere…
– Hai fatto bene! Se deve tornare per la provinciale, meglio che non sia riposato – solite premure da mamma. – Ora però sveglialo. Non voglio che i suoi si preoccupino non vedendolo tornare.
Aveva ragione, oramai si stava facendo tardi, e di solito era già sulla via del ritorno quando lei rientrava: per mia scelta, perché non volevo che facessero troppa comunella.
Mi avvicinai, soffermandomi a guardarlo appoggiato sul divano. Com’era bello vederlo dormire così cucciolino… trasmetteva un che di tenerezza che veniva voglia di abbracciarlo all’infinito. Mi ero fermato imbambolato a guardarlo, e mia madre comparve dalle scale dal piano superiore: – Allora? che aspetti… – si appoggiò, anche lei, alla ringhiera a guardarlo, poi disse: – Ti somiglia… – aveva negli occhi un sorriso nostalgico – …sembra te qualche anno fa.
Ma perché dovevo vedere mia madre guardare Luca con quegli occhi così piani di tenerezza? Sì, era oggettivamente carino, anzi adorabile! Ma era fastidioso sempre vedersi gente fargli i complimenti: i genitori, i professori, le compagne di classe…; e poi dovevo disinnescare quella pericolosa situazione: beccato in contemplazione di Luca non giovava certo al mantenimento del nostro segreto! Così molestamente lo punzecchiai sul fianco – Sveglia! dai! sveglia!
– Alle! Sii più gentile… – mi rimproverò, ma era proprio la razione che volevo: almeno avevo dissimulato l’impressione iniziale.
Il bell’addormentato si stirò con calma, pareva l’emblema della vita presa con rilassatezza: – Ma si può sapere cos’hai…! – poi avvistò mia madre: – Oh, buon giorno!! –, scattò subito a infilarsi le scarpe.
– Luca, con calma! Non ti caccia mica via nessuno… – e poi mi diede un’occhiataccia di rimprovero: – Volendo puoi rimanere a cena, se vuoi… non fare i complimenti!
– Grazie, ma devo andare… non ho avvertito a casa! – si stava allacciando le scarpe in fretta.
– Già, però la prossima volta potresti… – presi la balla al balzo.
– Dai!… – lo esortò anche mia madre – ci farebbe piacere…
– Va bene, adesso chiedo a mia madre e poi domani ti faccio sapere – s’alzò, dopo aver finito d’allacciarsi le scarpe.
Così lo accompagnai alla porta, certo di avergli strappato il consenso.

1 commento:

  1. È davvero incredibile dopo tutti questi anni ritrovare questa storia. Mi auguro davvero che tu riesca a ritornare in pari con il vecchio blog e concluderla.

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