Sabato sera, uscita con gli amici: i soliti quattro sfigati? No, quella sera se n’era aggiunto un altro: uno più grande, un cugino lontano, che seco portava pure due amiche – le altre sarebbero giunte, quando ormai per noi sarebbe stato già troppo tardi.
Al pub, una di loro, la più simpatica e carina – l'altra doveva essere la fidanzata –, ci guardava (era pure lei più grande di noi: un annetto credo, forse due… giusto quei diciassette-diciott’anni), ci guardava e prendeva confidenza con noi: ora si appoggiava a questo, ora quello; scherzava, rideva alle nostre battute scontate; beveva dai nostri boccali; si appiccicava, accarezzava i timidi sul collo, e poi se ne andava dall’amica o dall'altra parte del tavolo, dagli altri due. Era carina, ben fatta, ma i coprifuochi son impietosi alla nostra età! e mentre ci incamminavamo verso gli scooter, loro goliardicamente scherzavano: c’è chi si vantava – a suo dire – di essere stato più oggetto d'attenzioni degli altri; chi, invece, di averle toccato, di nascosto, sotto il tavolo, le gambe; e poi a conteggiar quanti più minuti fosse stata accanto a uno piuttosto che a un altro. Mi chiedevan conferma: se l'avessi toccata, se le avessi sbirciato dentro la scollatura: quei cretini egoisti ignoravano la mia agonia , quel subbuglio interiore ch’entro mi ribolliva.
Quella notte lei girava: girava per la mia stanza, e a volte era lei, a volte era Luca. Quel bastardello l'avevo visto a scuola per tutta la settimana, e neanche una volta s’era degnato di venirmi a trovare: avevo già trascorso cinque giorni resistendo, e ora dovevo, potevo, volevo resistere! o tutta quella tortura sarebbe stata soltanto un'inutile frenesia ormonale scaricata in un gorgo di gabinetto. Ma che lotta, però, tutta notte con la mano confinata fuori dal letto; e domani... chissà? Era domenica: aspettavo; aspettai! Pensavo che almeno in quel giorno si sarebbe fatto vedere, ma invece niente: l'odiavo! Incominciavo a pensare che m’avesse preso solo per una botta e via; ma domani era giorno di scuola: domani era ora di fare i conti!
– Ciao Alle! – mi salutò felice: – … allora che hai fatto ieri?
Lì per lì, vedendolo così tranquillo smangiucchiarsi la sua merendina, mentre io versavo nella mia agonia ormonale, l'avrei appeso! Ma sorrisi: – Senti, che fai oggi? Vieni da me ‘sto pomeriggio?
– Non so... – se voleva iniziare male una frase, ci stava riuscendo! – …devo vedere cosa fa mia mamma! – Mi spiace: risposta sbagliata! Misi una mano sopra il suo ginocchio e, simpaticamente, strinsi con tutta la forza che la mia mano poteva esprimere; – Che fai, allora?
– Sì, sì, non ti scaldare: vengo! – mi disse, sorridendo: forse non aveva preso il mio gesto per un atto intimidatorio, ma per una goliardica dimostrazione di forza; ma in tutti i modi avrebbe fatto bene a non mancare all'appuntamento!
Mezzora! Mezz'ora d'orologio era passata dall’ora designata, e quel primino non s'affrettava ancora a presentare la sua capigliatura bionda dentro la mia sala. Una buca? o forse m’aveva preso per un impegno procrastinabile impunemente? Ma gliel'avrei fatta vedere io, la prossima volta che l’incontravo! E intanto il mio supplizio cresceva, aggravato per di più dall’angoscia che quel dì non si sarebbe neppure fatto vedere; quando finalmente udii uno smarmittio di motorino!
Gli
aprii il cancello, e come da accordi entrò da solo, presentandosi in cucina col
casco tra le mani e un grande sorriso stampato sulla faccia; ma si sbagliava se
s’aspettava un tappeto steso di rosso, quel ritardatario!
–
Dai! Metti giù il casco che andiamo! – il sorriso gli sparì subito dalla
faccia.
–
Andiamo dove? – domandò confuso.
–
In camera mia, dai… – posò il casco e arreso seguì le mie istruzioni, salendo
le scale. Sembrava più grandicello oggi Luca da dietro, con quei jeansetti perfettamente
attillati e quella maglietta finemente abbinata; pareva quasi un ometto. Entrai
in camera, e chiusi la porta: anche se eravamo soli in casa, chiuderla mi aiutava
a sentirmi più al sicuro dagli sguardi del mondo e a sentirmelo più mio.
Luca
stava lì, fermo in mezzo alla stanza, che confuso attendeva un mio indizio: –
Allora?
Mi
avvicinai a lui, sistemandogli la simmetria del colletto: – Tu, per il momento,
sta’ fermo qui! –, gli dissi spostandolo davanti al mio letto; com'era bello!
Ma come avevo fatto ad avercela con lui? e a pensare che quel pomeriggio non si
sarebbe neppure fatto vedere, dopo che lui me l'aveva promesso? Lo abbracciai, per
farmi perdonare. Sentii la trama a coste sottili della sua canottiera sotto la
maglietta: mmmh… avrei preferito trovarvi subito sotto la pelle nuda come l'altra
volta; ma oggi faceva più freddo, e poi ne avrebbe guadagnata l’espoliazione.
Prima lo strinsi, poi l'accarezzai, con lui che rispondeva al mio moto
frenetico, senza però riuscire a starmi dietro: ero troppo inebriato, non
sapevo neanche più in che sequenza muovere le mani: meglio ricominciare!
Lentamente lo spogliai della maglia, e poi della canotta. Luca stava fermo,
sorridendo e assecondando ogni mio movimento, perché sapeva che almeno per quella
volta volevo sentirmi io il padrone della situazione. L'idea mi piaceva: lui
era mio, e finalmente libero da quei due sostrati di pelle superflua, nella sua
inerme nudità, mostrando ai miei occhi la sua straordinaria asciuttezza. Feci
un passo all’indietr, per ammirarlo tutt’intero; mi eccitava ancora di più
vederlo così: mezzo nudo sopra e mezzo vestito sotto, con quei jeans che
mettevano in evidenza tutta la sua abbondanza. Non ce la feci più! avanzai
verso quel biondino dal sorriso malizioso e lo spinsi contro al mio letto: Luca
volò letteralmente all’indietro, come un ramicello sbattuto dal vento. Feci per
saltargli addosso, ma adirato mi sbraitò irruento: – Ma che CAZZO fai! –,
sottraendosi dalla mia portata, – …ma che modi sono!? – Spiazzato dalla sua
reazione, dopo quella pantomima di violenza, rimasi interdetto.
Lo
cercavo, ma sfuggiva dal mio sguardo quasi si sentisse minacciato; e intanto
cresceva la sua rabbia, dalla sua voce e dai gesti con cui mi chiedeva se non
fossi diventato matto. Lo cercavo, non capivo: mi sentivo disorientato, come
intrappolato in un pozzo dai pareti viscidi apertosi sotto i miei piedi; quando
lui m’urlò: – Basta! Voglio uscire! –, buttandosi verso la porta. Mi gettai
subito sulla maniglia; e nel bisticcio di mani riuscii a impossessarmi della
chiave. Luca si allontanò, e cominciò a ordinarmi di farlo uscire.
–
Luca calmati… mi dispiace…
–
Mi dispiace un CORNO! – ruggì – Fammi uscire! – riprese, strillando più forte.
–
Lasciami spiegare…
–
Non ti faccio spiegare un bel niente! Non sono il tuo giocattolino… fammi
uscire, o giuro che ti denuncio! – e, nel dirlo, assunse come una strana posa
d’attacco con le bracca: – ALLE, fammi uscire! lo sai che sono cintura verde!
Sapevo
che praticava una forma di arte marziale, ma non sapevo né il suo grado né,
tantomeno, la plausibilità delle sue intimidazioni; ma dopo quella frase
assunse ai miei occhi l’aspetto d’un piccolo gladiatore nell'arena dei leoni,
anche se l’immaturità fisica e quei pettoralini piatti non contribuivano certo a
conferir troppo credibilità alle sue
minacce.
–
Luca, lo so, per piacere, non fare così! Fammi spiegare… – cercai di calmarlo,
ma inutilmente: si fiondò sulla maniglia e scattai per bloccarlo con un
abbraccio fatale. – Luca, per piacere, ascoltami… –, si dimenava con forza
incredibile, –…era solo un gioco! Sono giorni… sono giorni che non… – gli
confidai il mio segreto, e smise di scalciare.
–
È vero? – mi chiese con tono severo.
–
Sì – e m’accostai in cerca d’una forma di tenerezza alla sua testa.
–
Mollami! – mi ordinò deciso, rifiutando ogni mio gesto d’affetto. Si allontanò,
si sistemò, e con lo stesso tono duro di prima: – Puoi anche dirle le cose,
invece di fare lo stronzo! – per tutto il tempo non m aveva ingiuriato e per
questo lo stimavo, ma quell’ultima frase mi fu più dura d’un cazzotto in faccia:
mi sentivo un verme. – Scusami Luca… – risposi contrito, tentando d’abbracciarlo.
Si
lasciò abbracciare, poi ricambiò il gesto, ma non capii se per l’imbarazzo o
per mostrarmi il suo perdono. Il mio subbuglio interiore però non era svanito,
così tramutai allora quell'abbraccio in uno strenuo tentativo d'effusione. Finalmente
trovai il coraggio di riguardarlo in faccia: aveva uno sguardo teneramente
voglioso, e non bisognoso d‘altre parole: meglio tacere e lasciar parlare
soltanto i gesti. Mi tolsi la maglia e a lui rimisi la canotta: dopo quello che
era successo, era meglio ricominciare da capo, ma non proprio tutto dal
principio! In fine via pure la mia tuta: rimasi soltanto in canottiera e
mutande. Lui si scalzò subito le scarpe, ma giunto ai pantaloni lo fermai. –
Lascia… – gli dissi, prendendo a slacciargli la cintura; il cuore mi batteva
forte in gola, mentre Luca continuava il suo lento balletto di toccamenti sul
mio petto. Bisticciai col bottone dei ginsi, e quando finalmente riuscii ad
averne la meglio, sentii uno sbuffo di sorriso sul mio viso: la complice intesa
era ritornata! Palpitante gli abbassai la cerniera: quel suono zigrinato mi sembrava
aprire nuove porte di percezione nel
nostro mondo di tentennamenti; avrei voluto toccarlo ma non osavo ancora
violare oltre il suo splendido sesso. L'abbracciai un'ultima volta, prima di
correre dall'altra parte del letto e fermarmi ad ammirarlo imbambolato.
Sembrava
ancora più bello e radioso con quella luce proveniente dalle spalle, mi
ricordavo ancora le sue braccine prima,in posa d'attacco: ora invece sembravano
così inermi nella loro minutezza. Ma la cosa migliore stava là sotto: quel
magnifico pacco, tutto compresso nel tessuto decorato delle sue mutandine da
quattordicenne. Mi ero smarrito davanti a quella visione, quando lui mi riportò
prontamente alla realtà, con un “allora” che comunicava tutta la sua
impazienza.
–
Dai! sotto le coperte!
Il
mio Luca era lì insieme a me: era stato così buono lui… e io invece dovevo
ancora farmi perdonare. Mi guardava dubbioso, come a chiedermi perché fossimo andati
sotto alle coperte; ma non era questione di scenografia, come poteva sembrare a
lui: non era un film porno; era questione d’atmosfera: in vacanza avevo appreso
dell’esistenza di qualcosa in più del semplice piacere erotico: un mondo
parallelo fatto di coccole, abbracci e carezze, non meno appagante del primo,
anche se a lui poteva sembrare l'unico possibile. Iniziai ad abbracciarlo forte
e pure lui m'imitò, stringendomi con tutta la forza che aveva in corpo;
percepivo qualcosa di liberatorio nella sua stretta, anche se mi faceva male:
forse era il suo modo per punirmi, e in fondo me lo meritavo. Quando stanco di
vendicarsi mi mollò, ripresi a respirare, ma non ce l'avevo con lui: non poteva
certo ferirmi una sua punizione fisica, e peggio sarebbe stato il non rivederlo
più.
–
Ma lo sai che sei forte – confidai imbarazzato.
–
Lo so già!
–
Ma ti sta cambiando la voce?
–
Davvero? – mi rispose lui più stupito di me.
– Non so, sento che ogni tanto ti cambia! – e
troncai lì quell'inutile scambio di parole. L'accarezzai sulla nuca, poi sul
corpo in punta di dita: con tocchi sottili, leggeri, misurati, là solo dove
serviva, per portargli piacere. Tocco dopo tocco, mi avvicinai al suo inguine. Appena
lo toccai, Luca mi strinse, emettendo un gridolino di piacere: avevo trovato il
suo punto debole. Avvicinandomi con le dita al suo sesso, più forte lui mi
stringeva, e allontanandomi la sua foga placavo: era come una fisarmonica tra
le mie mani, che abilmente suonavo.
Mi
avvicinai al suo inguine; mi strinse; passai sotto con le dita all'elastico, e m’intrufolai
fino ad agguantagli le palle. Lui si stava ancora agitando, ma ora, mentre gli
accarezzavo i marroni, non gli bastava più soltanto stingermi, si mordeva la
lingua e cercava freneticamente qualcosa da stringere con la mano: che trovò
nelle mie mutande! Una foga pazzesca, smanava l’intero mio sesso, mentre
saggiavo la morbidezza del suoi testicoli. Gli uscii dalle mutande, e mi diressi
suo suo pene, già mezzo fuori dall'elastico, sfiorandolo appena: – Basta…! – m’implorò,
con gli occhi socchiusi: – o vengo… – sibilò con un dolcezza mai sentita. Mi
fermai: avevamo l’intero pomeriggio davanti, perché consumarlo tutto in quell’istante?
"Ora faccio io" mi parve di sentirgli dire. Prese l'iniziativa
scorrendomi le mani su tutto il corpo come feci prima io con lui: ma dalla
rapidità del suo abbassarsi, non era quella di farmi godere la sua intenzione.
In poco, fu già sulle mie mutante, lo trasse, e smanioso cominciò a darmi
vigorosi colpi di sega; mi faceva male: – Luca, non è di ferro… – dissi,
stringendo i denti. – Davvero? A me pare di marmo! – rispose con l'ardore tutto
in corpo, dopo di che s’immerse sotto alle coperte, prendendolo subito in
bocca. – Luca aspetta… – gli sfilai la canottiera, oramai era ora di mettersi
più liberi. Luca riprese lecchicchiandolo sotto la coperta, poi lo riprese in
bocca con ingordigia. Vedevo solo la sagoma della sua testa sussultare
forsennatamente sotto le coperte. Succhiava abilmente, ma non era per me: io
non sentivo niente col glande ancora coperto, traeva soltanto lui piacere da
quel sucare forsennato, per sfogare il suo eccitamento; poi si placò e riprese
a masturbarmi. Era appagante, ma mi stavo stufando: io non l'avevo preso
soltanto per masturbarmi; io lo volevo guardare in faccia, lo volevo toccare.
Sollevai il lenzuolo, e lo trovai seduto tra mie gambe col mio uccello in mano,
e l’altra a zagagnarselo. Lo riportai al mio fianco, e ne approfittai per levarci,
a entrambi, le mutande.
Appena
disteso avvertii un brivido di freddo spandersi per tutto il mio corpo, strinsi
Luca per cercarne il calore: il dolce tepore del suo corpicino, l'ardore del
suo turgore sul mio ventre mi davano sollievo. Avevo freddo, ma mi sentivo bene
con "Luca" al mio fianco, il suo nome echeggiava per la mia mente,
desideravo urlarlo, gridarlo, proclamarlo al mondo intero, mi sembrava non
vero, un sogno quell'attimo eterno; come mai in quell'istante desiderai che il
tempo si fermasse, che il mondo cessasse d'esistere in quell'istante stesso
così perfetto, che quasi piangevo all’idea che quel pomeriggio sarebbe finito. Avvolto da un
algido torpore: il freddo si condensò sulla mia pelle anestetizzata; guardai Luca:
sembrava irreale quel tenero biondino sul mio cuscino, gli accarezzai il volto,
gli occhi chiusi e poi scesi sul pene. Ripresi a masturbarlo e lui di nuovo a
fiatare, ma non mi bastava più soltanto vederlo godere, sentivo l'incessante
voglia di farlo venire, di riscaldarmi col suo vov adolescenziale. Mi sollevai
a cavalcioni sulle sue gambe brandendone il sesso: quel pene eretto, come un
piccolo totem al dio eterno della virilità! Chissà se era quella l'arma del mio
piccolo gladiatore?
Cominciai
a lisciargli il pisello riavendone il sapore sulla lingua, e ogni volta non
finivo più di solcare quella doppia decina di verga, finché non ne senti la
mancanza proprio dentro alla mia bocca. L'infilai, succhiai forte scappellandoglielo,
con Luca che emise un gemito potente. Era passata solo una settimana, ma mi
pareva un anno intero da quanto gradivo il suo sesso dentro alla mia bocca: era
così appagante affondare quel lungo coso dentro me, sentirlo tornivo dentro le mie
labbra, assaggiarne i primi umori sulla lingua, che quasi non mi pareva vero.
Il suo ansimare si fece finalmente più fondo; "gemi, gemi pure",
ripetevo dentro di me: "grida forte ora che nessuno può sentirci!":
era il mio invito, e lui eseguiva. Finalmente quello che volevo: ancora un
poco, ancora più forte, e il suo es
non si spanse dentro di me. Non fu generoso come l’altra volta, ma il suo volto
gaudente compensava la mia mancanza alimentare; ingoiai quel poco per
continuare la suzione, finché sarebbe durato il suo senso dell'orgasmo.
Com'era
eccitante il suo corpicino nudo a ridosso del mio. Me lo toccava timidamente,
mentre io giocavo coi resti del suo antico vigore. A poco a poco, man mano che
si riprendeva dal sopimento, quei lievi toccamenti in punta d'uccello divennero
sega, vigorosa e magistrale; il suo sguardo non era più sornione ma teneramente
voglioso: – Ora, faccio io! – mi disse, sorridendo. Si sollevò, facendomi
intendere di prender posto al centro del letto, si mise carponi su di me. Dalle
spalle i suoi palmi partirono verso il mio petto, mentre s’adagiava piano col
sedere sulle mie gambe, e incominciò a baciarmi su tutto il mio uccello.
Pensavo volesse subito farmi venire, ma invece di prenderlo bocca ricominciò a
segarmi; di solito reggo bene la stimolazione di una sega, ma dopo tutti
quel giorni che attendevo già appena all’inizio mi sembrò di scoppiare. Non so
se fossi io o se
fosse merito suo, ma
questa volta Luca era decisamente bravo con la mano, molto più che al
mare:
tentavo di resistere finché Luca non si fosse deciso a prenderlo in
bocca, ma
più resistevo e più un eccitante dolia cresceva, dolore e godimento
tutt’insieme in un greve crampo al basso ventre, che lui acuiva
dolcemente
grattandomi tra i peli.
Non potevo esimermi dal gridare, e Luca, compiaciuto: – Vedo che ti piace…– mi
disse. A un certo punto non ce la feci più: il dolore l'eccitamento il piacere,
non capivo più cosa fosse; – Luca… – lo supplicai sperando che capisse. Finalmente
sentii la sua bocca, e in poco esplosi dentro la sua bocca il mio orgasmo
violento. Mi sentivo svuotato, mi sembrava di non essere mai venuto così
copiosamente: non capivo come Luca avesse potuto resistere e bermi tutto in una
volta.
Non
avevo mai goduto così tanto, mi sentivo leggero, estraniato dal mio corpo,
senza più forza. Luca ridiscese parendo quasi soddisfatto, mi abbracciò e poso
la sua testa sul mio petto: – Allora? – mi chiese con tono sospensivo, quasi a
chiedermi se fosse stato bravo, ma non avevo nemmeno la forza di elaborare il pensiero.
– Cosa fai poi… ci vieni a scuola con me? – rispese ancora con quella storia.
–
Sì, però i miei vogliono che ti aiuti a fare i compiti per sdebitarmi!
–
Perché?
–
Luca, dai, lasciami riposare… – non avevo voglia di parlare: avevo soltanto
voglia di addormentarmi con lui che mi abbracciava.
–
Uhhhh! Tua mamma! – s’alzò di scatto come un gatto, sollevando la testa dal mio
petto.
–
Non c’è nessuno! – gli dissi ritirandolo giù per il collo con una certa
seccatura: la sua agitazione mi aveva infastidito. – Non ti credere: non ci
tengo neanch'io a essere beccato! – e me lo risistemai sul petto.
Passammo
un’altra mezzoretta in quello stato di comatosa beatitudine; il mio fisico si
rifiutava di muoversi immerso in quell’inerzia di stasi perpetua, ma purtroppo
era giunto il momento di interrompere il nostro pomeriggio di sensuale
appagamento.
–
Dai, Luca, muoviti! Tra un po’ arrivano i miei! – lo sobbalzai dal mio petto.
–
Mmm... – mugugnò.
–
Su! – lo scossi col petto.
–
Uffa! –
Aveva
uno sguardo ancora voglioso: ma cosa dovevo fare per soddisfare quel ragazzino insaziabile se dopo tutto
quello che avevamo fatto avevo placato persino me? Si mise di lato per nulla
intento ad alzarsi, mi guardò scorrendo tutto il mio corpo nudo disteso sotto
di lui, fermandosi sul mio pene e lo prese in mano. Incominciò a smarlettarmi;
fu automatico seguirlo: avevamo entrambi ancora energia per fare nuovamente cose…
ma se solo i minuti non corressero sempre così inesorabilmente!
–
Dai basta! – gli dissi con rammarico, e mi alzai per vestirmi: – Su, vestiti!
Io
avevo già finito di vestirmi, ma Luca continuava a indugiare, con indosso solo
la canottiera, perdendo tempo a guardare il pavimento.
–
Ma che stai aspettando: la balia per vestirti!?
–
E non le trovo! – mi disse con gli occhi fuori dall’orbite.
–
Che cosa non trovi?
–
Le mutande! Non le trovo più!
–
Come non le trovi! – gli feci il verso concitato per prenderlo in giro, ma mi
misi a cercarle insieme a lui; inizialmente pensavo fosse solo colpa della sua
incapacità, ma effettivamente non c'eran più. Cercammo dappertutto: sotto il
letto, sul letto, nel letto, tra le coperte; persino in quei luoghi imponibili, dove chissà come avremmo potuto
cacciarcele: sotto la scrivania, dietro il comodino, nel cestino, ma niente,
quell'ottuso indumento non voleva saltar fuori.
Luca
si stava disperando, ed era parzialmente comico vederlo solo in canottiera col
pipino di fuori e le mani tra i capelli: – Eh adesso come faccio! – disse sconvolto cogitandosi un futuro
sconosciuto e angoscioso
–
Come: “come fai”? Ti vesti e te ne vai, visto che tra poco arrivano i miei! – e
gli feci segno di smammare.
–
Come vado via! E come? con solo jeans addosso! Dai trovale… non me le avrei
mica nascoste tu, su dai tirale fuori lo scherzo non è più bello!
–
Luca, io non ne so niente: mi son vestito mentre tu le cercavi. Come, cazzo,
facevo a nasconderle?
–
E adesso come faccio...! – si stava facendo sempre più disperato: – Senti,
prestamene un paio!
–
Un paio! – la soluzione mi pareva più assurda del problema; ma comunque non
c'erano alternative, se non se ne voleva tornare a casa con nulla sotto. Aprii
il cassetto e ne tirai fuori un patio; la cosa mi faceva ridere, ma non potevo
sbottargli in faccia con le mie risa davanti alla sua legittima disperazione.
–
Eh, voilà! – gli garrii le mutande come una muleta.
–
Ma non sono come le mie! – mi disse con la voce piagnona – Non ne hai un paio
diverso?
– Senti, ringrazia che le presti. E poi
non è colpa mia se ce le hai ancora da moccioso!
–
Ma come faccio ad andare a casa con quelle e se poi me le beccano… – sembrava
mentalmente regredito all’età di ott’anni.
–
Senti, ma è tua madre che ti cambia? – non ce la facevo più a non ridergli in
faccia.
–
No! – rispose seccato.
–
E allora, quando sei a casa, te le cambi e le fai sparire! Non so: ci vuole
tanto nella vita… ma a te, quando sei nato, ti hanno insegnato che dovevi
respirare o ci sei arrivato da solo? – e gliele tirai appallottolate.
Le
prese e le infilò subito: – Senti un po', tu! Non è colpa mia, se mia madre me
le compra ancora da "moccioso", come dici tu! – se l'era presa e non
poco: il mio solito carattere stronzo l'aveva fatto nuovamente inacidire, solo
che questa volta ero io ad essere pianamente dalla parte della ragione!
–
Piccolo, – lo canzonai – anche mia madre faceva come la tua. Poi, visto che mi
son stancato di essere preso per il culo, alle superiori ho iniziato a mettermi
solo quelle bianche, così dopo di un po' s’è stancata di lavare sempre le
solite tre paia, perché le altre restavano sempre nel cassetto, e alla fine s’è
decisa a cambiarle tutte, smummiati!
–
Sì, ma almeno la tua te ne aveva comprate di diverse, io come faccio?
–
E io che cazzo ne so! Diglielo! – Luca capì che proprio non aveva modo di avere
la meglio questa volta – e adesso sciò, prima che arrivi mia madre, che devo
anche rifare il letto! Fila, su!
C'era
rimasto male, e se ne andò via come un cane bastonato, senza neppure un saluto,
ma intanto ero sicuro che gli sarebbe passata, e poi l'avrei rivisto l'indomani
a scuola; piuttosto ora era meglio ritrovare quel maledetto indumento,
dimenticato chissaddove, prima che fosse stato trovato da lei.
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