5 giugno 2019

Notti insonni

Non riuscivo più a dormire; nelle ultime tre notti, praticamente insonni, non avevo chiuso occhio, perseguitato com’ero dalle mie mille fantasie: un continuo, unico sogno morboso assediava la mia mente, e ad occhi chiusi o aperti per un adolescente non fa più alcuna differenza: il mondo è un’inesauribile fucina di stimoli erotici. Era da lunedì che Luca non veniva, ed era da quel dì che anch’io non venivo, per consumare tutta la nostra frenesia in sua compagnia; ma di quel biondino, neanche l’ombra!

Sabato sera, uscita con gli amici: i soliti quattro sfigati? No, quella sera se n’era aggiunto un altro: uno più grande, un cugino lontano, che seco portava pure due amiche – le altre sarebbero giunte, quando ormai per noi sarebbe stato già troppo tardi.
Al pub, una di loro, la più simpatica e carina – l'altra doveva essere la fidanzata –, ci guardava (era pure lei più grande di noi: un annetto credo, forse due… giusto quei diciassette-diciott’anni), ci guardava e prendeva confidenza con noi: ora si appoggiava a questo, ora quello; scherzava, rideva alle nostre battute scontate; beveva dai nostri boccali; si appiccicava, accarezzava i timidi sul collo, e poi se ne andava dall’amica o dall'altra parte del tavolo, dagli altri due. Era carina, ben fatta, ma i coprifuochi son impietosi alla nostra età! e mentre ci incamminavamo verso gli scooter, loro goliardicamente scherzavano: c’è chi si vantava – a suo dire – di essere stato più oggetto d'attenzioni degli altri; chi, invece, di averle toccato, di nascosto, sotto il tavolo, le gambe; e poi a conteggiar quanti più minuti fosse stata accanto a uno piuttosto che a un altro. Mi chiedevan conferma: se l'avessi toccata, se le avessi sbirciato dentro la scollatura: quei cretini egoisti ignoravano la mia agonia , quel subbuglio interiore ch’entro mi ribolliva.
Quella notte lei girava: girava per la mia stanza, e a volte era lei, a volte era Luca. Quel bastardello l'avevo visto a scuola per tutta la settimana, e neanche una volta s’era degnato di venirmi a trovare: avevo già trascorso cinque giorni resistendo, e ora dovevo, potevo, volevo resistere! o tutta quella tortura sarebbe stata soltanto un'inutile frenesia ormonale scaricata in un gorgo di gabinetto. Ma che lotta, però, tutta notte con la mano confinata fuori dal letto; e domani... chissà? Era domenica: aspettavo; aspettai! Pensavo che almeno in quel giorno si sarebbe fatto vedere, ma invece niente: l'odiavo! Incominciavo a pensare che m’avesse preso solo per una botta e via; ma domani era giorno di scuola: domani era ora di fare i conti!


Durante l'intervallo veniva sempre a fare una capatina da me e dai miei amici: in fondo condividevamo pur sempre lo stesso corridoio; e pure il mio corso, oltre la scuola, aveva scelto, ed essendoci soltanto due sezioni ebbe pure la fortuna di finire nella stessa mia. E ora eccolo lì, davanti alla 1ª F (solo la seconda di mezzo tra le nostre due classi), seduto sul pianalino interno della finestra, a sbocconcellarsi la sua merendina, senza neanche degnarmi d’uno sguardo.
– Ciao Alle! – mi salutò felice: – … allora che hai fatto ieri?
Lì per lì, vedendolo così tranquillo smangiucchiarsi la sua merendina, mentre io versavo nella mia agonia ormonale, l'avrei appeso! Ma sorrisi: – Senti, che fai oggi? Vieni da me ‘sto pomeriggio?
– Non so... – se voleva iniziare male una frase, ci stava riuscendo! – …devo vedere cosa fa mia mamma! – Mi spiace: risposta sbagliata! Misi una mano sopra il suo ginocchio e, simpaticamente, strinsi con tutta la forza che la mia mano poteva esprimere; – Che fai, allora?
– Sì, sì, non ti scaldare: vengo! – mi disse, sorridendo: forse non aveva preso il mio gesto per un atto intimidatorio, ma per una goliardica dimostrazione di forza; ma in tutti i modi avrebbe fatto bene a non mancare all'appuntamento!

Mezzora! Mezz'ora d'orologio era passata dall’ora designata, e quel primino non s'affrettava ancora a presentare la sua capigliatura bionda dentro la mia sala. Una buca? o forse m’aveva preso per un impegno procrastinabile impunemente? Ma gliel'avrei fatta vedere io, la prossima volta che l’incontravo! E intanto il mio supplizio cresceva, aggravato per di più dall’angoscia che quel dì non si sarebbe neppure fatto vedere; quando finalmente udii uno smarmittio di motorino!

Gli aprii il cancello, e come da accordi entrò da solo, presentandosi in cucina col casco tra le mani e un grande sorriso stampato sulla faccia; ma si sbagliava se s’aspettava un tappeto steso di rosso, quel ritardatario!
– Dai! Metti giù il casco che andiamo! – il sorriso gli sparì subito dalla faccia.
– Andiamo dove? – domandò confuso.
– In camera mia, dai… – posò il casco e arreso seguì le mie istruzioni, salendo le scale. Sembrava più grandicello oggi Luca da dietro, con quei jeansetti perfettamente attillati e quella maglietta finemente abbinata; pareva quasi un ometto. Entrai in camera, e chiusi la porta: anche se eravamo soli in casa, chiuderla mi aiutava a sentirmi più al sicuro dagli sguardi del mondo e a sentirmelo più mio.
Luca stava lì, fermo in mezzo alla stanza, che confuso attendeva un mio indizio: – Allora?
Mi avvicinai a lui, sistemandogli la simmetria del colletto: – Tu, per il momento, sta’ fermo qui! –, gli dissi spostandolo davanti al mio letto; com'era bello! Ma come avevo fatto ad avercela con lui? e a pensare che quel pomeriggio non si sarebbe neppure fatto vedere, dopo che lui me l'aveva promesso? Lo abbracciai, per farmi perdonare. Sentii la trama a coste sottili della sua canottiera sotto la maglietta: mmmh… avrei preferito trovarvi subito sotto la pelle nuda come l'altra volta; ma oggi faceva più freddo, e poi ne avrebbe guadagnata l’espoliazione. Prima lo strinsi, poi l'accarezzai, con lui che rispondeva al mio moto frenetico, senza però riuscire a starmi dietro: ero troppo inebriato, non sapevo neanche più in che sequenza muovere le mani: meglio ricominciare! Lentamente lo spogliai della maglia, e poi della canotta. Luca stava fermo, sorridendo e assecondando ogni mio movimento, perché sapeva che almeno per quella volta volevo sentirmi io il padrone della situazione. L'idea mi piaceva: lui era mio, e finalmente libero da quei due sostrati di pelle superflua, nella sua inerme nudità, mostrando ai miei occhi la sua straordinaria asciuttezza. Feci un passo all’indietr, per ammirarlo tutt’intero; mi eccitava ancora di più vederlo così: mezzo nudo sopra e mezzo vestito sotto, con quei jeans che mettevano in evidenza tutta la sua abbondanza. Non ce la feci più! avanzai verso quel biondino dal sorriso malizioso e lo spinsi contro al mio letto: Luca volò letteralmente all’indietro, come un ramicello sbattuto dal vento. Feci per saltargli addosso, ma adirato mi sbraitò irruento: – Ma che CAZZO fai! –, sottraendosi dalla mia portata, – …ma che modi sono!? – Spiazzato dalla sua reazione, dopo quella pantomima di violenza, rimasi interdetto.
Lo cercavo, ma sfuggiva dal mio sguardo quasi si sentisse minacciato; e intanto cresceva la sua rabbia, dalla sua voce e dai gesti con cui mi chiedeva se non fossi diventato matto. Lo cercavo, non capivo: mi sentivo disorientato, come intrappolato in un pozzo dai pareti viscidi apertosi sotto i miei piedi; quando lui m’urlò: – Basta! Voglio uscire! –, buttandosi verso la porta. Mi gettai subito sulla maniglia; e nel bisticcio di mani riuscii a impossessarmi della chiave. Luca si allontanò, e cominciò a ordinarmi di farlo uscire.
– Luca calmati… mi dispiace…
– Mi dispiace un CORNO! – ruggì – Fammi uscire! – riprese, strillando più forte.
– Lasciami spiegare…
– Non ti faccio spiegare un bel niente! Non sono il tuo giocattolino… fammi uscire, o giuro che ti denuncio! – e, nel dirlo, assunse come una strana posa d’attacco con le bracca: – ALLE, fammi uscire! lo sai che sono cintura verde!
Sapevo che praticava una forma di arte marziale, ma non sapevo né il suo grado né, tantomeno, la plausibilità delle sue intimidazioni; ma dopo quella frase assunse ai miei occhi l’aspetto d’un piccolo gladiatore nell'arena dei leoni, anche se l’immaturità fisica e quei pettoralini piatti non contribuivano certo a conferir troppo  credibilità alle sue minacce.
– Luca, lo so, per piacere, non fare così! Fammi spiegare… – cercai di calmarlo, ma inutilmente: si fiondò sulla maniglia e scattai per bloccarlo con un abbraccio fatale. – Luca, per piacere, ascoltami… –, si dimenava con forza incredibile, –…era solo un gioco! Sono giorni… sono giorni che non… – gli confidai il mio segreto, e smise di scalciare.
– È vero? – mi chiese con tono severo.
– Sì – e m’accostai in cerca d’una forma di tenerezza alla sua testa.
– Mollami! – mi ordinò deciso, rifiutando ogni mio gesto d’affetto. Si allontanò, si sistemò, e con lo stesso tono duro di prima: – Puoi anche dirle le cose, invece di fare lo stronzo! – per tutto il tempo non m aveva ingiuriato e per questo lo stimavo, ma quell’ultima frase mi fu più dura d’un cazzotto in faccia: mi sentivo un verme. – Scusami Luca… – risposi contrito, tentando d’abbracciarlo.
Si lasciò abbracciare, poi ricambiò il gesto, ma non capii se per l’imbarazzo o per mostrarmi il suo perdono. Il mio subbuglio interiore però non era svanito, così tramutai allora quell'abbraccio in uno strenuo tentativo d'effusione. Finalmente trovai il coraggio di riguardarlo in faccia: aveva uno sguardo teneramente voglioso, e non bisognoso d‘altre parole: meglio tacere e lasciar parlare soltanto i gesti. Mi tolsi la maglia e a lui rimisi la canotta: dopo quello che era successo, era meglio ricominciare da capo, ma non proprio tutto dal principio! In fine via pure la mia tuta: rimasi soltanto in canottiera e mutande. Lui si scalzò subito le scarpe, ma giunto ai pantaloni lo fermai. – Lascia… – gli dissi, prendendo a slacciargli la cintura; il cuore mi batteva forte in gola, mentre Luca continuava il suo lento balletto di toccamenti sul mio petto. Bisticciai col bottone dei ginsi, e quando finalmente riuscii ad averne la meglio, sentii uno sbuffo di sorriso sul mio viso: la complice intesa era ritornata! Palpitante gli abbassai la cerniera: quel suono zigrinato mi sembrava aprire nuove porte  di percezione nel nostro mondo di tentennamenti; avrei voluto toccarlo ma non osavo ancora violare oltre il suo splendido sesso. L'abbracciai un'ultima volta, prima di correre dall'altra parte del letto e fermarmi ad ammirarlo imbambolato.
Sembrava ancora più bello e radioso con quella luce proveniente dalle spalle, mi ricordavo ancora le sue braccine prima,in posa d'attacco: ora invece sembravano così inermi nella loro minutezza. Ma la cosa migliore stava là sotto: quel magnifico pacco, tutto compresso nel tessuto decorato delle sue mutandine da quattordicenne. Mi ero smarrito davanti a quella visione, quando lui mi riportò prontamente alla realtà, con un “allora” che comunicava tutta la sua impazienza.
– Dai! sotto le coperte!

Il mio Luca era lì insieme a me: era stato così buono lui… e io invece dovevo ancora farmi perdonare. Mi guardava dubbioso, come a chiedermi perché fossimo andati sotto alle coperte; ma non era questione di scenografia, come poteva sembrare a lui: non era un film porno; era questione d’atmosfera: in vacanza avevo appreso dell’esistenza di qualcosa in più del semplice piacere erotico: un mondo parallelo fatto di coccole, abbracci e carezze, non meno appagante del primo, anche se a lui poteva sembrare l'unico possibile. Iniziai ad abbracciarlo forte e pure lui m'imitò, stringendomi con tutta la forza che aveva in corpo; percepivo qualcosa di liberatorio nella sua stretta, anche se mi faceva male: forse era il suo modo per punirmi, e in fondo me lo meritavo. Quando stanco di vendicarsi mi mollò, ripresi a respirare, ma non ce l'avevo con lui: non poteva certo ferirmi una sua punizione fisica, e peggio sarebbe stato il non rivederlo più.
– Ma lo sai che sei forte – confidai imbarazzato.
– Lo so già!
– Ma ti sta cambiando la voce?
– Davvero? – mi rispose lui più stupito di me.
 – Non so, sento che ogni tanto ti cambia! – e troncai lì quell'inutile scambio di parole. L'accarezzai sulla nuca, poi sul corpo in punta di dita: con tocchi sottili, leggeri, misurati, là solo dove serviva, per portargli piacere. Tocco dopo tocco, mi avvicinai al suo inguine. Appena lo toccai, Luca mi strinse, emettendo un gridolino di piacere: avevo trovato il suo punto debole. Avvicinandomi con le dita al suo sesso, più forte lui mi stringeva, e allontanandomi la sua foga placavo: era come una fisarmonica tra le mie mani, che abilmente suonavo.
Mi avvicinai al suo inguine; mi strinse; passai sotto con le dita all'elastico, e m’intrufolai fino ad agguantagli le palle. Lui si stava ancora agitando, ma ora, mentre gli accarezzavo i marroni, non gli bastava più soltanto stingermi, si mordeva la lingua e cercava freneticamente qualcosa da stringere con la mano: che trovò nelle mie mutande! Una foga pazzesca, smanava l’intero mio sesso, mentre saggiavo la morbidezza del suoi testicoli. Gli uscii dalle mutande, e mi diressi suo suo pene, già mezzo fuori dall'elastico, sfiorandolo appena: – Basta…! – m’implorò, con gli occhi socchiusi: – o vengo… – sibilò con un dolcezza mai sentita. Mi fermai: avevamo l’intero pomeriggio davanti, perché consumarlo tutto in quell’istante? "Ora faccio io" mi parve di sentirgli dire. Prese l'iniziativa scorrendomi le mani su tutto il corpo come feci prima io con lui: ma dalla rapidità del suo abbassarsi, non era quella di farmi godere la sua intenzione. In poco, fu già sulle mie mutante, lo trasse, e smanioso cominciò a darmi vigorosi colpi di sega; mi faceva male: – Luca, non è di ferro… – dissi, stringendo i denti. – Davvero? A me pare di marmo! – rispose con l'ardore tutto in corpo, dopo di che s’immerse sotto alle coperte, prendendolo subito in bocca. – Luca aspetta… – gli sfilai la canottiera, oramai era ora di mettersi più liberi. Luca riprese lecchicchiandolo sotto la coperta, poi lo riprese in bocca con ingordigia. Vedevo solo la sagoma della sua testa sussultare forsennatamente sotto le coperte. Succhiava abilmente, ma non era per me: io non sentivo niente col glande ancora coperto, traeva soltanto lui piacere da quel sucare forsennato, per sfogare il suo eccitamento; poi si placò e riprese a masturbarmi. Era appagante, ma mi stavo stufando: io non l'avevo preso soltanto per masturbarmi; io lo volevo guardare in faccia, lo volevo toccare. Sollevai il lenzuolo, e lo trovai seduto tra mie gambe col mio uccello in mano, e l’altra a zagagnarselo. Lo riportai al mio fianco, e ne approfittai per levarci, a entrambi, le mutande.
Appena disteso avvertii un brivido di freddo spandersi per tutto il mio corpo, strinsi Luca per cercarne il calore: il dolce tepore del suo corpicino, l'ardore del suo turgore sul mio ventre mi davano sollievo. Avevo freddo, ma mi sentivo bene con "Luca" al mio fianco, il suo nome echeggiava per la mia mente, desideravo urlarlo, gridarlo, proclamarlo al mondo intero, mi sembrava non vero, un sogno quell'attimo eterno; come mai in quell'istante desiderai che il tempo si fermasse, che il mondo cessasse d'esistere in quell'istante stesso così perfetto, che quasi piangevo all’idea che quel  pomeriggio sarebbe finito. Avvolto da un algido torpore: il freddo si condensò sulla mia pelle anestetizzata; guardai Luca: sembrava irreale quel tenero biondino sul mio cuscino, gli accarezzai il volto, gli occhi chiusi e poi scesi sul pene. Ripresi a masturbarlo e lui di nuovo a fiatare, ma non mi bastava più soltanto vederlo godere, sentivo l'incessante voglia di farlo venire, di riscaldarmi col suo vov adolescenziale. Mi sollevai a cavalcioni sulle sue gambe brandendone il sesso: quel pene eretto, come un piccolo totem al dio eterno della virilità! Chissà se era quella l'arma del mio piccolo gladiatore?
Cominciai a lisciargli il pisello riavendone il sapore sulla lingua, e ogni volta non finivo più di solcare quella doppia decina di verga, finché non ne senti la mancanza proprio dentro alla mia bocca. L'infilai, succhiai forte scappellandoglielo, con Luca che emise un gemito potente. Era passata solo una settimana, ma mi pareva un anno intero da quanto gradivo il suo sesso dentro alla mia bocca: era così appagante affondare quel lungo coso dentro me, sentirlo tornivo dentro le mie labbra, assaggiarne i primi umori sulla lingua, che quasi non mi pareva vero. Il suo ansimare si fece finalmente più fondo; "gemi, gemi pure", ripetevo dentro di me: "grida forte ora che nessuno può sentirci!": era il mio invito, e lui eseguiva. Finalmente quello che volevo: ancora un poco, ancora più forte, e il suo es non si spanse dentro di me. Non fu generoso come l’altra volta, ma il suo volto gaudente compensava la mia mancanza alimentare; ingoiai quel poco per continuare la suzione, finché sarebbe durato il suo senso dell'orgasmo.

Com'era eccitante il suo corpicino nudo a ridosso del mio. Me lo toccava timidamente, mentre io giocavo coi resti del suo antico vigore. A poco a poco, man mano che si riprendeva dal sopimento, quei lievi toccamenti in punta d'uccello divennero sega, vigorosa e magistrale; il suo sguardo non era più sornione ma teneramente voglioso: – Ora, faccio io! – mi disse, sorridendo. Si sollevò, facendomi intendere di prender posto al centro del letto, si mise carponi su di me. Dalle spalle i suoi palmi partirono verso il mio petto, mentre s’adagiava piano col sedere sulle mie gambe, e incominciò a baciarmi su tutto il mio uccello. Pensavo volesse subito farmi venire, ma invece di prenderlo bocca ricominciò a segarmi; di solito reggo bene la stimolazione di una sega, ma dopo tutti quel giorni che attendevo già appena all’inizio mi sembrò di scoppiare. Non so se fossi io o  se fosse merito suo, ma questa volta Luca era decisamente bravo con la mano, molto più che al mare: tentavo di resistere finché Luca non si fosse deciso a prenderlo in bocca, ma più resistevo e più un eccitante dolia cresceva, dolore e godimento tutt’insieme in un greve crampo al basso ventre, che lui acuiva dolcemente grattandomi tra i peli. Non potevo esimermi dal gridare, e Luca, compiaciuto: – Vedo che ti piace…– mi disse. A un certo punto non ce la feci più: il dolore l'eccitamento il piacere, non capivo più cosa fosse; – Luca… – lo supplicai sperando che capisse. Finalmente sentii la sua bocca, e in poco esplosi dentro la sua bocca il mio orgasmo violento. Mi sentivo svuotato, mi sembrava di non essere mai venuto così copiosamente: non capivo come Luca avesse potuto resistere e bermi tutto in una volta.
Non avevo mai goduto così tanto, mi sentivo leggero, estraniato dal mio corpo, senza più forza. Luca ridiscese parendo quasi soddisfatto, mi abbracciò e poso la sua testa sul mio petto: – Allora? – mi chiese con tono sospensivo, quasi a chiedermi se fosse stato bravo, ma non avevo nemmeno la forza di elaborare il pensiero. – Cosa fai poi… ci vieni a scuola con me? – rispese ancora con quella storia.
– Sì, però i miei vogliono che ti aiuti a fare i compiti per sdebitarmi!
– Perché?
– Luca, dai, lasciami riposare… – non avevo voglia di parlare: avevo soltanto voglia di addormentarmi con lui che mi abbracciava.


– Uhhhh! Tua mamma! – s’alzò di scatto come un gatto, sollevando la testa dal mio petto.
– Non c’è nessuno! – gli dissi ritirandolo giù per il collo con una certa seccatura: la sua agitazione mi aveva infastidito. – Non ti credere: non ci tengo neanch'io a essere beccato! – e me lo risistemai sul petto.
Passammo un’altra mezzoretta in quello stato di comatosa beatitudine; il mio fisico si rifiutava di muoversi immerso in quell’inerzia di stasi perpetua, ma purtroppo era giunto il momento di interrompere il nostro pomeriggio di sensuale appagamento.
– Dai, Luca, muoviti! Tra un po’ arrivano i miei! – lo sobbalzai dal mio petto.
– Mmm... – mugugnò.
– Su! – lo scossi col petto.
– Uffa! –
Aveva uno sguardo ancora voglioso: ma cosa dovevo fare per soddisfare  quel ragazzino insaziabile se dopo tutto quello che avevamo fatto avevo placato persino me? Si mise di lato per nulla intento ad alzarsi, mi guardò scorrendo tutto il mio corpo nudo disteso sotto di lui, fermandosi sul mio pene e lo prese in mano. Incominciò a smarlettarmi; fu automatico seguirlo: avevamo entrambi ancora energia per fare nuovamente cose… ma se solo i minuti non corressero sempre così inesorabilmente!
– Dai basta! – gli dissi con rammarico, e mi alzai per vestirmi: – Su, vestiti!

Io avevo già finito di vestirmi, ma Luca continuava a indugiare, con indosso solo la canottiera, perdendo tempo a guardare il pavimento.
– Ma che stai aspettando: la balia per vestirti!?
– E non le trovo! – mi disse con gli occhi fuori dall’orbite.
– Che cosa non trovi?
– Le mutande! Non le trovo più!
– Come non le trovi! – gli feci il verso concitato per prenderlo in giro, ma mi misi a cercarle insieme a lui; inizialmente pensavo fosse solo colpa della sua incapacità, ma effettivamente non c'eran più. Cercammo dappertutto: sotto il letto, sul letto, nel letto, tra le coperte; persino in quei  luoghi imponibili, dove chissà come avremmo potuto cacciarcele: sotto la scrivania, dietro il comodino, nel cestino, ma niente, quell'ottuso indumento non voleva saltar fuori.
Luca si stava disperando, ed era parzialmente comico vederlo solo in canottiera col pipino di fuori e le mani tra i capelli: – Eh adesso come faccio! –  disse sconvolto cogitandosi un futuro sconosciuto e angoscioso
– Come: “come fai”? Ti vesti e te ne vai, visto che tra poco arrivano i miei! – e gli feci segno di smammare.
– Come vado via! E come? con solo jeans addosso! Dai trovale… non me le avrei mica nascoste tu, su dai tirale fuori lo scherzo non è più bello!
– Luca, io non ne so niente: mi son vestito mentre tu le cercavi. Come, cazzo, facevo a nasconderle?
– E adesso come faccio...! – si stava facendo sempre più disperato: – Senti, prestamene un paio!
– Un paio! – la soluzione mi pareva più assurda del problema; ma comunque non c'erano alternative, se non se ne voleva tornare a casa con nulla sotto. Aprii il cassetto e ne tirai fuori un patio; la cosa mi faceva ridere, ma non potevo sbottargli in faccia con le mie risa davanti alla sua legittima disperazione.
– Eh, voilà! – gli garrii le mutande come una muleta.
– Ma non sono come le mie! – mi disse con la voce piagnona – Non ne hai un paio diverso?
– Senti, ringrazia che le presti. E poi non è colpa mia se ce le hai ancora da moccioso!
– Ma come faccio ad andare a casa con quelle e se poi me le beccano… – sembrava mentalmente regredito all’età di ott’anni.
– Senti, ma è tua madre che ti cambia? – non ce la facevo più a non ridergli in faccia.
– No! – rispose seccato.
– E allora, quando sei a casa, te le cambi e le fai sparire! Non so: ci vuole tanto nella vita… ma a te, quando sei nato, ti hanno insegnato che dovevi respirare o ci sei arrivato da solo? – e gliele tirai appallottolate.
Le prese e le infilò subito: – Senti un po', tu! Non è colpa mia, se mia madre me le compra ancora da "moccioso", come dici tu! – se l'era presa e non poco: il mio solito carattere stronzo l'aveva fatto nuovamente inacidire, solo che questa volta ero io ad essere pianamente dalla parte della ragione!
– Piccolo, – lo canzonai – anche mia madre faceva come la tua. Poi, visto che mi son stancato di essere preso per il culo, alle superiori ho iniziato a mettermi solo quelle bianche, così dopo di un po' s’è stancata di lavare sempre le solite tre paia, perché le altre restavano sempre nel cassetto, e alla fine s’è decisa a cambiarle tutte, smummiati!
– Sì, ma almeno la tua te ne aveva comprate di diverse, io come faccio?
– E io che cazzo ne so! Diglielo! – Luca capì che proprio non aveva modo di avere la meglio questa volta – e adesso sciò, prima che arrivi mia madre, che devo anche rifare il letto! Fila, su!
C'era rimasto male, e se ne andò via come un cane bastonato, senza neppure un saluto, ma intanto ero sicuro che gli sarebbe passata, e poi l'avrei rivisto l'indomani a scuola; piuttosto ora era meglio ritrovare quel maledetto indumento, dimenticato chissaddove, prima che fosse stato trovato da lei.

Nessun commento:

Posta un commento