9 giugno 2019

Compiti maledetti

Ciao! – gli avevo appena detto, non più di due ore e mezzo fa, uscendo dalla sua auto, ed ora rieccomi qua, di nuovo a salutarlo, davanti alla soglia di casa, mentre entra col suo zaino ingombrante, ancora sulle spalle. Ormai da tre giorni usufruivo del servizio navetta di mia madre, gentilmente offerto lungo il tragitto casa-scuola, e io per “sdebitarmi” – parole dei miei – dovevo aiutarlo. ogni tanto. a fare compiti o a studiare; anche se, per quel poco che lo conoscevo, non era certo lui ad averne bisogno, del mio aiuto.
Dai, entra alla svelta! ché oggi, tra i compiti e la verifica, non ho neanche il tempo di guardarmi alle spalle. – Luca non rispose: col suo fare sicuro di sempre, mi guardò con una faccia che sembrava dare poco credito alle mie parole, quasi sapesse di aver lui il comando, e sistemò diligentemente i suoi libri di scuola sul tavolo, assieme ai quaderni.


Non avevo mai fatto un incontro di studio pomeridiano a casa mia: per me era una cosa nuova, specie se avere uno più piccolo a cui addirittura avrei dovuto fare da precettore.. Ogni tanto lo guardavo assorto nei suoi compiti: sembrava irreale vederlo così distaccato, intento a studiare, quando la maggior parte del tempo trascorso in casa mia, finora, era stata spesa in ben altra maniera (e molto più divertente!); soprattutto mi stupiva non aver ravvisato in lui il minimo tentativo di cominciare qualche altra attività.
Dopo non so quanto tempo di religioso silenzio, dove tutto sembrava funzionare fin troppo alla perfezione, Luca chiuse rumorosamente i libri di scuola, quasi a rimarcare la definitiva conclusione di tutti i suoi impegni scolastici: – Bene! Ho finito: che si fa? – mi disse, guardandomi deciso.
Si fa un bel niente, Luca. Non so te, ma io ho ancora un casino di roba da fare: domani ho una verifica, se te lo sei dimenticato…
Non disse nulla, non aggiunse niente; nessuna reazione apparente: non sembrava nemmeno lui; l'unica cosa che non aveva perso era la sua solita sicurezza. Dopo di un po', avvicinò la sedia a me e fece finta di guardare sui miei libri, e mentre col suo sguardo scorreva geroglifiche formule di trigonometria, la sua mano finì tra le mie gambe, rovistandovi per bene. Non ne potevo più di quelle stupide formule: che tentazione cedere al suo invito, ma quelle pagine maledette non si sarebbero di certo lette da sole. A malincuore presi la sua manina, così dolce, e la levai: – T'ho detto che devo studiare… adesso non ho tempo… – cercai di essere duro, ma con lui mi era impossibile – Dopo… forse… – aggiunsi.
Dopo quanto?
Ancora tanto! Dai… lasciami finire – ero disperato: da una parte quei noiosi seni e coseni e dall'altra l'appagante insistenza di quel diavoletto biondo; che fare?
Possibile che io abbia già finito e tu… – iniziò con tono polemico; ma l'interruppi: – Forse perché tu fai la prima e io la terza?... Forse perché il mio anno è un tantino più impegnativo del tuo? No, eh!
Ci rimase male, ma tornò subito alla carica: – Beh, però… – disse, riallungando la mano.
Ti ho detto: no! – scocciato, incrociò le braccia e mi chiese dell'acqua. Lo accontentai e poi gli accesi la tv per levarmi di torno quell'attraente fonte di distrazioni; ma non passò molto che Luca si rifece vivo alle mie spalle, guardando nuovamente sui miei libri. Una mano leggera si posò sulla schiena, dandomi la dolce sensazione d’un contatto umano: forse anche lui cercava solo quello in fondo, in quel lungo pomeriggio; ma non potevo concedergli nient’altro in più, o sapevo che avrei abbandonando quei tediosi libri per il resto della giornata. Fissai il vuoto, finché si trattava di una semplice mano potevo anche resistere, ma immerso nella mia stessa inerzia gli occhi non focalizzavano altro che un indistinto punto nello spazio e né un solo muscolo del mio corpo mi rispondeva, il tempo si era come fermato per me, mentre la pressione sulla mia spalla dolcemente cresceva; il respiro di Luca si fece più profondo e vicino, fino a toccarmi la testa con la sua; quasi di riflesso alzai la mano per toccare il morbido dei suoi capelli. Poi Luca si mosse, sedendosi dietro di me, e l'incantesimo del suo tocco s’interruppe. Mi abbracciò.
Dai Luca… per piacere!
Ma non sto facendo niente! Sto qui buono: non va bene neppure questo… – disse mostrandomi le sue manine aperte, poi stringendosi attorno alla mia vita.
Dai, stai pure lì! Però sai cosa non devi fare!...
Sì, sì, non ti preoccupare. Però, dopo, andiamo in camera tua? – mi abbracciò più forte.
Perché in camera mia?
Dai… come l'altra volta! – disse con la voce timida e sorniona.
– No, non abbiamo tempo: dopo arriva mia madre. Però qualcosa lo troviamo… E non starmi così addosso!
C'è l'avevo duro, mi intrigava troppo studiare con lui abbracciato; mi faceva sentire desiderato, atteso: però, che fatica! Se solo la sua manina fosse scesa un po', e avesse incominciato a muoversi su e giù… che bello che sarebbe stato! Brrr… mi dovevo riprendere, non dovevo pensare a certe cose! Mi dovevo concentrare, perché una volta finite quelle stramaledette pagine, avrei sistemato io quel biondino. Luca nel frattempo si era perfettamente accomodato: oltre a cingermi, si era pure adagiato con la testa sulle mie spalle; avevo quasi l'impressione che si fosse addirittura addormentato.

Quelle ultime dieci righe le posso anche saltare! Chiusi il libro e mi stirai, pigiando Luca contro lo schienale della scranna.
Ahi! – mi gridò con voce acuta e sonnolente.
Oh, scusa, ci sei tu! me n’ero scordato! Sai, non ci sono abituato…
Sì, però adesso levati!
Aspetta un attimo – dissi, buttando indietro le braccia in cerca di una “parte” di lui. Ma che sfiga: aveva i jeans! Ne percepivo l'ingombro, ma non potevo apprezzarlo. A dire il vero, non avevo proprio voglia di venire quel giorno… mi sfagiolava di più qualcosa di rilassante. Colpa sua! colpa del suo rilassatissimo dormire sulle mie spalle; dopo tutto non ero mica vincolato da alcun contratto al suo volere, né ero nemmeno pagato per i miei servigi, anzi era lui in casa mia… e stava a lui adeguarsi ai miei desideri.
Su, andiamo sul divano! – gli dissi, traghettandolo per mano a distendersi tra le mie braccia. Voleva fare come la volta scorsa in camera mia? Bene, allora avremmo fatto una bella pennichella accoccolati l’uno all’altro; doveva andare bene pure a lui, perché non si lamentava. Mi piaceva l'odore dei suoi capelli, così morbidi tra le dita: come avere il mio gatto. – Ma cosa usi? sei morbido come il mio gatto!
Hai un gatto? – mi rispose inspiegabilmente incuriosito, guardandosi intorno come se s’aspettasse di vedere sbucar fuori un’ombra felina da chissà quale penombra.
Sì.
E dov'è? non l'ho mai visto!
Ah, lui gira: è un vagabondo! La prossima volta, se riesco, lo costringo in casa: così lo vedi. – Mi piaceva l'idea di accontentarlo, mi sarebbe piaciuto ogni tanto fargli dei regalini, ma la cosa mi sembrava un po’ troppo sfacciata, così mi dovevo limitare ad accontentare i suoi piccoli desideri, quando li manifestava; e ricominciai ad accarezzarlo sulla nuca con immenso piacere. Era rilassante ed eccitante allo stesso tempo, ogni tanto strusciavo la mia erezione contro di lui, quando a un certo punto lo notai trafficare giù da basso, nei pressi della patta: – Ma che stai facendo? – dissi abbastanza scocciato per il mio mancato coinvolgimento.
Visto che tu non fai… faccio da me! O non posso neppure questo?
No, no, fai pure! – iniziò a masturbarsi.
Il primino si stava masturbando e ci stava dando pure dentro: si stava proprio facendo una marletta, e se non fossi intervenuto, credo, mi sarebbe addirittura venuto sul tappeto; questo poi no! E poi non si può dar una festa senza invitare il padrone di casa – non è corretto! –, né tanto meno tirar fuori l'uccello in casa d’altri senza farselo trastullare.
Allora! La smetti di smarlettarti che mi vieni sul divano! – ma lui continuava imperterrito, quindi l'afferrai. Appena si accorse della mia mano, tolse la sua – …ora ti masturbo io! –; rise.
Che hai?
Mi fa ridere come l’hai detto!
Cioè?
– "Ora ti MASTURBO io", ma che razza di verbi usi?
– Uso i verbi che mi pare! – gli strinsi l’uccello – e adesso taci! –, e tacque. Preferivo decisamente com'era adesso: «vedere ma non toccare» è una cosa che non m'è mai piaciuta! e poi toccare la bega di Luca era particolarmente bello, e così non rischiavo che mi giocasse brutti scherzi, avevo io in mano le redini della situazione… e che situazione!

Ahi! – urlò.
Che c'hai adesso?!
La cerniera, mi frega.
– Eeeh, ma che lagna! – e, mentre lo masturbavo, spinse più in basso i jeans e le mutande. Era già passato un po' da quando m’ero messo a pistolare col suo gingillo, e anche se non andavo a buon fine, la cosa non sembrava dispiacergli, anzi si assopì pure, mentre ancora lo smanettavo. Però, perché darsi tanto da fare per uno che dorme? Meglio esplorarlo un pochettino. Scesi lungo l’asta, fino a giungere alla salda base, e quindi l’afferrai forte: mi dava una certa soddisfazione stringerglielo lì in basso, perché pareva così massiccio, così vigoroso! Poi, ora che erano finalmente libere, potevo godermi anche le sue palle: mi dimenticavo sempre di loro, eppure erano così belle piene e morbide da tenere in mano, che era uno spasso riempirsene in palmo.
Tra tastate, tastatine il tempo passava e Luca sonnecchiava alla grande, non so perché tenessi ancora il televisore acceso, non lo guardavo nemmeno, concentrato com’ero su quell'esserino che mi dormiva a fianco.

Era arrivata mia madre, uffa! Me lo sarei goduto volentieri un'altra mezz'oretta, e pure lui… dal gran che se la dormiva: – Luca svegliati, è arrivata mia madre. Sistemati!
Luca si svegliò improvvisamente, risistemandosi nascosto dallo schienale del divano: – Ma perché non m’hai svegliato prima! Almeno sarei andato via prima che arrivasse tua mamma! – disse a bassa voce.
No, perché mi serve che ti veda: deve vedere che sei venuto qui a fare i compiti, se no poi mi rompono: se vengo con te in macchina senza… dare in cambio niente, diciamo. Capiscimi, sono cose da genitori… – e sorrise, speravo solo nel suo essere bravo attore con mia madre.
Strategicamente mi rimisi al tavolo e quando mia madre entrò, iniziai a chiudere i libri facendo finta d’avere appena finito di studiare. – Ciao Alle. Ah! ciao anche a te Luca. Come stai? – mentre lei gli attaccava la sua solita pezza, io portai i libri in camera.
Avevo tenuto per così tanto la bega di Luca in mano, che ancora ne sentivo l’impronta teporosa nel palpo; avrei volentieri sopperito alla mancanza della sua materia prima con la mia, ma non c'era tempo neanche per una seghina: li avevo già lasciati soli per cinque minuti quei due, li avevo già lasciati soli per troppo… Era quasi seccante come quel primino risultasse simpatico a tutti: ai miei compagni, ai professori, ai miei… Basta! meglio rientrare in scena, prima che a mia madre venisse voglia di barattare suo figlio col piccolo ospite. Scesi le scale, Luca mi aspettava vicino la porta posteriore col casco tra le mani… però, aveva finalmente imparato quand'era ora di smammare: bravo ragazzo! Anche se oggi mi dispiaceva lasciarlo andare così presto. Lo accompagnai in garage, vederlo accendere lo scooter mi tuffò il cuore nella tristezza, ma perché mia madre non lo aveva invitato a rimanere a cena? Non mi sarebbe affatto dispiaciuto tenerlo un altro po' in casa, e magari farmi fare una bella seghetta. Quando uno le faceva un favore, non finiva mai di sentirsi in debito, e ora che ero io a ricevere un favore, le bastava che lo aiutassi soltanto a fare i compiti: la vita è ingiusta!
Andai in un cantuccio oscuro del garage: – Luca, vieni… – Mi guardò incuriosito e s’avvicinò; ce l'avevo duro.
 Che c'è?
Gli presi la mano: – Senti, se una prossima volta restassi qua a cena...? – gli chiesi infilandomi la sua mano nelle mutande.
 Sì, dai..., una prossima volta si può fare. Chiedimelo prima però, devo avvertire mia mamma!
Luca iniziò a ravanare avvicinandosi ancora. Perdeva tempo, tergiversava con domande oziose di cui conoscevamo già l’inutile risposta, mentre la sua dolce manina si muoveva. Ma perché doveva andare? Non potevamo adottarlo? tenercelo in casa per me come piccolo un cucciolo… La porta cigolò; Luca ritirò subito la mano guardandosi alle spalle, ma non c'era nessuno: non era mia madre, quella porta maledetta si era mossa da sola, ma intanto aveva rotto l’incantesimo. Lo abbracciai per un ultimo addio, e tristemente ci salutammo.
Mentre usciva dal cancello, sentivo ancora la sua manina calda che idealmente non mi aveva mai lasciato; domani l'avrei rivisto a scuola, ma intanto non avrei resistito così tante ore senza di lui: mi sarei sfogato in bagno con un’altra bella sega.

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