Trascorrevo
quel tranquillo lunedì pomeriggio, dall'inizio della scuola, comodamente spaparanzato
sul divano di casa, quando un ronzio passò per la via. Un clacson d’un motorino
attirò la mia attenzione, gracchiando insistentemente. Scostai la tenda: uno
sconosciuto davanti al cancello dava l’idea d’attendere che il padrone di casa
gli aprisse il cancelletto; non sapevo chi fosse, non conoscevo nessuno con
quel cinquantino, ma dalla statura non c'erano dubbi. Di solito odio le visite inattese:
mi sanno d'invadenza, come se l'ospite s'aspettasse ch’io sia sempre al suo
servizio; in quel caso, però, avrei potuto anche fare un’eccezione e aprire il
cancello, ma giocare a identificare dell'intruso era più divertente. Già a metà
del vialetto non ebbi più dubbi: un esserino minuto, vestito di corto, con la
maglietta blu e il mitico "46" sopra al petto; anche se l'ombra del
casco ne occultava l'identità, sapevo che sotto quel tondo copricapo si
nascondeva la buffa testolina di Luca. Giunto al cancelletto, finalmente
intravidi il bianco ridente dei suoi occhi brillanti, da dietro la visiera; era
tutto così nuovo: il casco nuovo, il motorino nuovo, persino lui stesso
sembrava nuovo di fabbrica. E com'era ossimorico quel suo esile figurino rispetto
all'enorme Aprilia nuovo: una visione che quasi induceva alla tenerezza. Pensai
a quant’anch'io – due anni prima – dovessi sembrar buffo su quei cinquantini sovradimensionati
per le stature dei medi quattordicenni; aveva quasi del miracoloso come, così minutino,
riuscisse a sostenere quell'enorme mole di plastica e do metallo.
–
Luca, che ci fai qua? – dissi fintamente sorpreso: in realtà ero contento che
fosse lì.
–
Te l'ho detto che sarei venuto – non era vero!
–
Così, è questo il tuo scooter! – continuavo a fissarlo, perché era davvero
bello: tutto lucido e nero.
–
Sì! – confermò, fiero e contento. – Devo ancora finire il rodaggio, però ci ho
già tolto un fermo – e mise la mano come a confidarmi un segreto: – …fa gli 80!
–, disse a bassa voce e divertita.
–
Seh! Poverino! toglici almeno dieci chilometri da quello che vedi! E quando ti sarai
stancato di andar piano, dimmi a me che ti porto io dove so… – non era vero
niente: non ne sapevo niente d’elaborazione ai motorini, ma fare lo sbruffone davanti
a un primino era comunque conveniente.
–
Andiamo a fare un giro? – mi disse già con gli occhi sorridenti, forse
scontando una mia risposta positiva.
–
Non ho voglia né di tirar fuori il motorino né di vestirmi, sarà per un'altra
volta, dai…
–
Allora vuoi provare il mio… – mi propose interruppe, quasi porgendomi su di un
piedistallo il suo motorino. Mi stava offrendo di provare il suo scooter
nuovissimo, non ci potevo credere: perfino la ragazza da ragazzi è più merce di
scambio lecita di un motorino, figuriamoci poi offrirlo a uno “sconosciuto”: o
nutriva in me così tanta fiducia, oppure voleva assolutamente coinvolgermi in
quel meriggio settembrino, anche a costo di cedermi (momentaneamente) il suo
bene più prezioso.
–
Ok! andiamo in campagna! Vai dietro casa mia, e aspettami là!
Volò.
Per quelle strade nessuno ci avrebbe visto. Presi i comandi del motorino, Luca
salì dietro, sulla lunga sella; ora gli avrei fatto vedere io qualcosa che lui,
per inesperienza o paura, non avrebbe mai osato fare. Una lunga e diritta strada
deserta era quello che ci voleva per le nostre scorribande. Quante volte ero
venuto per quelle strade a gareggiare con gli amici, da solo o in coppia,
proprio come noi due, ma mai nessuno mi aveva tenuto come lui in quel momento:
di solito, tra maschi, per pudore, ci si tiene solo il minimo possibile per non
essere sbalzati, Luca, invece, mi si teneva forte, mi abbracciava vigorosamente;
sentivo il suo casco premermi fra le scapole – era piacevole; per fortuna che
nessuno poteva riconoscerci. Finalmente giungemmo al limite dell’asfalto: da
quella linea grigia in poi, solo un’infinita striscia di ghiaia bianchissima. –
Ora sì che ci si diverte, Luca! – dissi: – Però dammi il casco, che ho paura di
beccarmi un insetto e di cadere. – All'idea di cadere col suo scooter
nuovissimo, mi diede subito il suo casco: ci teneva veramente! Di solito un
casco è solo un comunissimo casco, ma il suo per me, in quel momento, aveva quasi
il valore di un gesto d’affettivo: mi sembrava di condividere con lui qualcosa
di intimo, qualcosa che essendogli stando in testa, ne aveva quasi assimilato
l'essenza. Via: sgommate, sulla strada sterrata; frenate; sterzate; il posteriore
derapò più e più volte, e ad ogni volta o giravolta Luca misi stringeva sempre più
forte, tanto da sentir distinta sulla schiena la sagoma della sua testa: anche per
questo gli avevo fatto togliere il casco. D’improvviso, s’aprì alla nostra destra
lo spiazzo d’un vecchio casolare diroccato, e v’entrai sullo sterrato più
morbido e friabile per far slittare la ruota posteriore, sollevando un nemboso
polverone tutt'intorno a noi. Nel bianco della densa nuvolaglia s'intravedeva
soltanto la sagoma grigiastra del rudere e degli alberi d'intorno, e man mano che
l'orizzonte lontano si velava, il nostro mondo privato si definiva tra quelle
pareti d’opaca inconsistenza: l'universo era svanito, e solo io e lui eravamo,
e il nostro abbraccio, a popolare in quel luogo sfumato. A naso ripresi la
direzione per la via, e senza neanche sapere se il ponte o il fossato avrei
beccato mi tuffai in quel fumido biancore. Basta: gli avevo mostrato un po' di
guida ricreativa, ed era più di quanto non sapessi fare; ora era meglio
rientrare. Nel ritorno incontrai qualche altra occasione per il divertimento,
come delle buche scavate a intervalli regolari dai trattori, che andandoci
sopra alla giusta velocità, sapevo, avrebbero dato l'effetto delle montagne
russe, ma il rischio di cadere era davvero alto: fossi stato da solo col mio motorino
l’avrei anche fatto, ma la forza di quell'abbraccio assieme al malinconico
pensiero che avrei potuto rovinargli il suo prezioso motorino mi trattennero
dal farlo.
Parcheggiai
il motorino nel cortile d’ingresso. Luca tutto entusiasta mi saltellava intorno
per l'esperienza appena fatta: si vedeva che era un pivellino. Era la prima
volta che l'avevo in casa mia, e come al solito non sapevo come affronterò:
avevo già una mezz’idea sul da fare, suscitata anche dalle sue maliziose
occhiate, ma mi vergognavo a proporla: era passato un mese! Sì, è vero…
probabilmente era venuto proprio per quello nella mia scuola, e ora a casa mia,
ma io non riuscivo a trovare, come lui invece, tutta quella libertà dai pregiudizi
del mondo, come era accaduto quest'estate – una cosa che, in fondo, sarebbe
dovuto rimanere soltanto un isolata e irreiterata trasgressione estiva, senza
più esser replicata.
Accesi
la Play, e ci sedemmo ai piedi del divano, ma presto Luca, stanco di perdere, si
arrese, lasciando cadere a terra i comandi, come un re capitolato. – Basta! –
disse: – Continua tu! –, e si tirò sul divano, con una gamba ciondolante e
l’altra distesa dietro la mia schiena, mettendo bene in mostra tutto ciò che aveva
da mostrare della sua pubica esuberanza, e che di certo quei pantaloncini rossi
non contribuivano a minimizzare.
–
Non so, tu che vuoi fare? – tentai di coinvolgerlo; ma, mentre cercavo, un sottile
vocino: – Beeeh… se vuoi, possiamo fare altro… – propose timidamente (nascondendosi
il viso tra i bracci).
–
Boh… tu che proponi? – finsi di non cogliere, ma gli lasciai una mano sul
ginocchio, tornando a guardare la tivù. Luca taceva, ma sentivo la sua tensione
muscolare crescere, girandogli intorno con le dita, specie quando salii lungo
la snella coscia, con tocco leggero: fin sotto i pantaloncini, fin a cozzare
contro qualcosa di carnoso dentro i suoi slip. Lo so che avrebbe voluto qualcosa
in più, ma per ora a me bastava farlo grevemente impazzire accarezzandogli
timidamente l'inguine. Era eccitatissimo: sentivo il suo afflato farsi
sottofondo delle voci alla tivù, ogni volta che gli passavo le dita tra la
coscia e gli slip. Qualcosa di lui si stava muovendo: s’aggiustava i pantaloni,
e ogni tanto mi guadava; il suo gonfiore montava, e io gli agguantai i marroni.
L’udii ansimare senz’alcun trattenimento; ritirai la mano; salii sul divano; e Luca
ritirò le gambe per farmi sedere, sedendosi accanto a me.
In
silenzio, tutto in rigoroso silenzio: non c’eravamo mai guardati durante tutto
quel carosello, coi nostri sguardi unicamente rivolti alla tivù. L'abbracciai e
con l'altra mano m’infilai sotto la sua maglietta a cercare il suo cazzo; non
ci volle molto per trovarlo: era già lì bello pronto, tutto ritto, mezzo fuori dalle
mutande. Piccole contrazioni sulla turgida cappella: così gli piaceva, se mi ricordavo
bene, il mio massaggino; e anche lui finalmente iniziò a contraccambiare. Ne
avevo voglia; da quando l'avevo visto il primo giorno di scuola, il mio cazzo aveva
desiderato un incontro intimo con le sue dita. Improvvisamente il suo fuoco si
accese, e cominciò a masturbarmi. Era più bello fare tutto di nascosto, con un tocco
di pudore, sotto alle magliette, senza vedere, anche se gli abiti ci impacciavano
il movimento. Tentati di cavargliene un altro po' dalle mutande per masturbarlo
meglio, ma c'erano troppe vesti a ridosso; e non appena comprese che volevo
smarlettarlo veramente, abbandono la mia sega per dedicarsi alla sua unicamente:
era stato egoista, ma a lui potevo perdonare anche quello. Mi tolse il fastidio
degli indumenti, alzando la maglietta e spingendo in basso i pantaloni e le mutande.
–
Oh, eccolo qua il mio bel doppio decimetro! – dissi: e sì, fra i mille pregi di
Luca c'era anche quello! E io sapevo bene quant’era importante sentirselo
lodare, avendocelo anch’io. Era passato più d'un mese da quando l'avevo
masturbato in vacanza, e quella volta ne avevamo fatte ben di peggiori: di
quelle che non ci dormi la notte per l’eccitazione; ma adesso, avendo ripreso
tutto così inaspettatamente, anche quel poco era per me più che soddisfacente.
Osservavo i suoi marroni ballonzolare sotto la spinta dei miei colpi di mano
lungo quel pene, quasi esagerato (come il motorino) rispetto alla sua minuta fisicità
e al faccino da sbarbatello. Gemeva e spingeva, arricciando il tappeto; parlottava,
Luca nell'orgasmo proprio non riusciva a stare zitto; inarcava la schiena; ansimava
come un forsennato. Stava già per venire, l'umido del suo glande non mentiva;
allora rallentai per indietreggiare, ma Luca: – Non ce la faccio più… –, mi disse.
–
Vuoi venire? – gli sussurrai all’orecchio.
–
Sì! – vociò, con un canto meraviglioso.
–
Allora, dai, che andiamo in bagno –; si zittì.
–
Perché?! – mi pronunciò con un tono esterrefatto.
–
Ti faccio venire sul bidè.
–
Come sul bidè! – s’incazzò.
–
Luca, io oggi non ne ho voglia oggi di…
–
Sì, ma… – sembrava non trovar le parole per esprimere la sua irritazione. – Ma
io sono cinque giorni che non… – e si fermò per reticenza.
–
Allora, dai, che andiamo in bagno!
–
No! – rifiutò categorico. – Se devo fare così, allora… faccio da me! – e così
dicendo si cavò da me.
–
Dai… non fare così.
–
Ma si può sapere che hai? – mi rimbrottò seccato.
–
Luca è inutile che rompi! È così e basta.
–
Ah! – esclamò risentito: – Io, rompo!
–
Maledizione Luca, ma non ci arrivi?! Io sono già venuto! – gli gridai incazzato,
perché mi stavo giustificando con un primino perché non mi andava di prendergli
in bocca l’uccello. Finalmente Luca tacque, stette pensieroso qualche secondo e
poi mitemente mi chiese: – Ma perché l'hai fatto… –, sentendosi quasi tradito,
– …non potevi aspettare me?
–
E come cazzo facevo a sapere che saresti venuto!… – Dopo quell’assurdo alterco,
scoppiò un imbarazzante silenzio. – Vuoi qualcosa da mangiare? – gli chiesi per
superare l’empasso.
–
Sì, grazie! – mi ringraziò mestamente, non fissandomi.
Il
frigo vuoto: non c'era niente per noi due. Guardai sul tavolo: nel cesto della
frutta solo due mele e qualche banana, lì a maturare da giorni; gli avrei dato
una di quelle, almeno avremmo fatto due risa. Lo raggiunsi alle spalle del
divano, facendogli penzolare la banana sopra la testa: – Toh! C’ho solo questa:
magnatela, e non rompere!
–
Certo che me la magno! – me l’afferrò lesto. – E mi piace pure! – aggiunse
impudente. In quel momento, quel suo rispondere da bambinetto dispettoso, mi eccitò
nuovamente: – …e ben lo so che ti piace! –, scavalcai lo schienale, sedendomelo
tra le gambe. Presi, per la frenesia, a solleticarlo sotto la maglietta, e mentre
che si mangiava quel delizioso frutto proibito, nella mia mente mi sarei
riappropriato della topografia del suo giovane corpo: eccole, le cunette
addominali, appena azzardate sotto la pelle sottile, e poi i contorni dei suoi accennati
pettoralini, non ancora definiti per l’acerba età, ed ora la snellezza dei suoi
fianchi sottili, e le scapole aguzze e la scaletta vertebrale, che era un
piacere percorrer colle nocche. È quel suo essere asciutto e longilineo che m’attizzava.
Non sapevo più dove mettere le mani: lo volevo toccare dappertutto, mentre lui
con fiera immobilità stava lì, a mangiarsi la sua banana, con me che lo
disturbavo con le mani uscenti dal collo della maglia per dargli dei buffetti.
Apparentemente remissivo, eppure in realtà padrone e regale: questa, la complicità
che me lo faceva adorare; nonostante i suoi due anni di meno, ero io a subirne
il fascino.
–
Dai, mettiti giù!– gli ordinai deciso.
–
Cos'è: adesso ne hai voglia? – sorrise malizioso.
–
No, però voglio farti qualcosa di soft!
–
Di soff-t… – mi prese in giro: – e
che vuol dire «di soff-t»?
–
Adesso te lo faccio vedere!
–
…e se adesso fossi io a non averne voglia? – se la tirava: era nella tana del
leone, e se la tirava pure!
–
E se adesso fossi tu a non averne più voglia: non me ne fregherebbe niente! – risposi:
– Sei a casa mia e fai come dico io!
–
Vale come regola? – mi prese in contropiede.
– Cioè?
–
…che quando siamo a casa mia, poi si fa come voglio io.
–
Mmm… sì, vabbè!
–
Davvero?
–
Davvero!
–
Ma davvero? davvero?
– Sì! Davvero! – uffa, ma perché non si fidava…
–
Sarà..., ma a me non mi convinci! – disse, e finalmente si coricò.
Presi
a denudarlo, iniziando dalla maglietta. Ecco, finalmente, il Luca che avevo
imparato a conoscere quest’estate: quel primino filiforme e magro, ma contempo sostanzioso. Tolsi anche la mia di
maglietta, per poterlo abbracciare teporoso, pelle a pelle, in questa mite
stagione, senza il caldo torrido dell’estate.
–
Mi vien quasi da dormire – sbadigliò forzosamente.
–
Ma allora dormi! –, e seguì il consiglio. Tanto per me sarebbe ancora meglio
avere quel quattordicenne magrolino da accarezzare completamente abbandonato tra
le mie mani. Ma vederlo pisolare, però, era così bello e rilassante, che presto
seguii anch’io il suo sopimento, stendendomi acconto.
Rinvenimmo
entrambi – non so dopo quanto – più carichi e eccitati di prima. Riconoscevo
quella brillantezza nei suoi occhi, il suo significato; solo che ora anch'io avevo
una voglia matta di apprezzarlo fino in fondo; ripresi così ad accarezzarlo
eroticamente. La sua pelle morbida mi pareva ancor più sensuale di prima; e pure
lui incominciò a muovere le sue timide manine. Insieme, non c'impiegammo molto
a toccarci su ogni centimetro del nostro giovane corpo, fino a giunger colà, dove
era la meta finale: scontavamo entrambi la prossima mossa dell'altro,
imitandone il gesto. Le mie mani: le sue mani: le nostre mani, dentro i
pantaloni, a cinger quella grossa crisalide che in poche mosse si sarebbe
dischiusa, dando vita a un drago famelico. Lo sentivo: ora compresso dentro alle
mutande; aprii: due grossi peni, durissimi, stringevamo entrambi tra le mani
dell’altro. Non ce la feci più: iniziai a masturbarlo; lui pure. Il fulcro del
nostro mondo ora stava là in basso, nei pressi dello scroto. Mi piaceva vederlo
con quello sguardo malizioso di chi sa di aver intrapreso un gioco proibito;
adesso sì che ne avevo voglia, Luca aveva riacceso il mio bollore, e ora, come
un vulcano non più sopito, doveva essere sfogato.
–
Basta! facciamolo! – gli dissi; non ci fu bisogno di aggiungere altro, che capì
tutto immediatamente, perfino la posizione migliore per avere il nostro primo
rapporto: scese di poco, e io mi voltai. Lui sotto e io sopra, così avremmo
fatto il nostro primo sessantanove su quel divano. Non gli detti nemmeno tempo
di sistemarsi completamente che gli levai pantaloni e mutande fin sotto al
sedere, liberandomi del loro ingombro; lui invece dovette sfilarmi le vesti
fino alle caviglie, per mettersi con la testa in mezzo alle mie ginocchia.
Eccolo finalmente quel cazzo lungo così come lo volevo, iniziai subito con una
bella leccata per riscoprirne l'antico sapore, ma Luca aveva fretta, non
riusciva ad aspettare il mio meticoloso rituale di preliminari, e iniziò subito
a metterlo in bocca succhiandolo come un forsennato.
Il
suo succhio mi eccitava, e come una turbina mi spingeva a leccarglielo ancor
più vigorosamente. Di colpo iniziò una fellatio irripetibile; non ce la facevo:
succhiava e boccheggiava il mio glande con tanta di quella foga che vedevo le
stelle dalla goduria. Avvertii improvvisamente un senso di vuotezza dentro alla
bocca, e un impellente bisogno di colmato col suo lungo cazzo; era giunto così
il mio momento di gustarmelo come lui si era gustato quella banana. Luca
succhiava con passione e livore, sembrava inspiegabilmente aver acquisito
esperienza dalla nostra avventura vacanziera, e ben presto gli avrei sborrato
in gola. – Sto venendo! Sto venendo! – gli gridai per avvisarlo, ma a lui non
importava nulla: avrebbe preso tutto, e senza neanche ringraziare! – Luca
preparati, ahah... – gli colai, in uno spasmo, tutto il mio seme in gola (quel
poco che ancora mi residuava). Luca lo accolse tutto senza problemi, e continuò
a succhiarmelo quasi ne avesse ancora voglia; ma probabilmente ricordava quant’era
bello sentirselo succhiare anche dopo l'orgasmo, anche se in quella posizione
era difficile godersi appieno il suo sapiente pompino; lui invece sì, che,
supino, si sarebbe goduto alla grande il mio bel bocchino.
Luca
aveva finito, lecchicchiava ancora il mio glande, ma ora sì che potevo dar
sfogo alla mia perversione. Eressi il suo pene mettendone in gola il più
possibile: purtroppo non potevo prenderne dentro qualche altro centimetro ancora!
Ma com'era bello! lungo! Era un mese che non lo facevo: che non sentivo un grosso
membro carnoso dentro alla mia bocca, e se non fosse stato per lui non l’avrei
mai più riprovato. Non volevo perder tempo, volevo giungere anch'io presto al suo
culmine sublime: non ricordavo più il sapore del suo sperma e volevo rinverdirne
la memoria. Scappellai, inizia succhiare forte: mi sembrava un enorme ciupaciups.
Luca
che s’agitava irrefrenabilmente sotto le mie gambe: a tratti verseggiava, ad
altri lo riprendeva e succhiava, dandomi subito una carica così potente da
riversare sul suo pene. Succhiavo e leccavo, leccavo e succhiavo, non vedevo
l'ora di riassaporare il suo seme. C'eravamo: Luca stava gemendo, non era
lontano; finalmente avrei estinto il mio fuoco interiore ingoiando il suo seme.
Eccolo, annunciato dai suoi versetti di piacere. La bocca mi si riempì d’un
liquido più denso del solito: non era saliva, era Luca dentro di me! Avevo
dimenticato il sapore del suo seme, così prepotente; cinque giorni… pensai: «complimenti
per la resistenza!», e si sentivano tutti: tanto che faticavo a tenere in bocca
tutta la sua semenza, che in parte mi colò lungo l'asta. Non potevo lasciare:
il suo gemere ancora non rallentava, lui godeva; un'eternità mi parvero quei
suoi attimi di sublime godimento.
Finalmente
anche lui mi disse basta, quel round era finito. Il suo pene mollato, ricadde
sul suo ventre come pugile bolso; lo guardai: lui stramazzato con gli occhi sbarrati
ancora mi ringraziava. Mi rigirai, cadenzando il suo nome a lunghe sillabe, e
svenni al suo fianco, mentre mi guardava felice: l'avevamo fatto, aveva
ricevuto quello per cui, in fondo, era venuto e ora avevamo voglia soltanto di riposare.
Ma sentii il brusio delle gomme di mia madre sulla ghiaia del vialetto: – Luca,
presto rivestiti! Mia madre! –; gli prese il panico.
Eravamo
ancora stesi sul divano, e in fretta e furia mi rivestii; mentre lui doveva
ancora finire, mia madre comparve in cucina.
–
Ciao mamma! – dissi, scattando sugli attenti, mentre lui sortì dal divano
finalmente ricomposto.
–
Ah! Ciao, Alle. Ma c'è anche un tuo amico: ecco di chi è il motorino di fuori!
–
Sì, mamma – mi buttò una strana occhiataccia: forse perché non avevo mai detto
così tante volte la parola ‘mamma’ in un frase sola. – Lui è Luca!
–
Salve, signora – disse porgendole la mano e quasi un accenno d'inchino.
Parlarono
un po’, per me anche troppo, ma quando gli chiese: – Ti fermi per cena? – era
troppo.
–
No, è tardi! – risposi io per lui, – adesso va a casa! – e lo accompagnandolo
al motorino, con ancora il sapore del suo seme in giro per la bocca.
Gli
diedi il casco, anche se lui non sembrava molto intenzionato ad andarsene: – Ah,
una cosa: mio nonno vuole che tuo papa lo
chiami – a sì, il lavoro.
–
Va bene, riferirò! – lo congedai, ma mettendosi il casco indugiò nuovamente.
–
Senti, poi per quella cosa di portarti a scuola noi?
–
E… devo ancora sapere qualcosa – in effetti gliel’avevo solo appena accennato.
–
Ciao! – e finalmente se n’andò, tanto l'avrei rivisto l'indomani a scuola.
Appena
rientrato, le sollecitai un commento, visto che aveva detto che prima di darmi il
permesso voleva conoscerlo: – Allora…
–
Cosa?
–
Luca…!
–
E che c’è?
–
Che cosa ne pensi? – ma sembrava più intenta a preparare per la cena che ad
ascoltare me
–
E… – tergiversò: – …ma mi sembra più piccolo di te.
–
Infatti, fa la prima.
–
Ecco! Allora, la prossima volta vedi di esser meno prepotente!
–
Ma chi? Io!
–
Sì! Tu…: l’hai praticamente cacciato via senza neanche darmi tempo di parlarci
– e neanche lo doveva fare!
–
Allora?... – le risollecitai il commento.
–
Alle, e che ti debbo dire: è… è… – ci pensò – …è carino! – disse come non
sapendo cos’altro dire, alzando le braccia.
…karino!
Ma come poteva mia madre dirmi che era «carino»? Cioè, per me era stupendo! ma
lei come poteva… E per di mandarla a quel paese, presi le scale per andarmene
in camera mia, ad ammazzarmi di seghe.
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